martedì 12 novembre 2024

Collected Poems

 di Gino Celoria.






RIFT VALLEY


io sono questi

occhi di talpa che

fendono la nebbia

di gennaio


mio padre

- e fu la genesi -

un cristallo di quarzo


bevo l’ultimo bicchiere

salgo su per una scala-budello

portandomi di qualche metro

più vicino al cielo

della mia notte


(orme

di Laetoli

sui gradini)


si chiamava Kostya Ryabtsev

scrisse nel suo diario:

- Si vive per vivere -



CALEMBOURS 1


tu dici che ora

siamo molto più vicini

mentre ti accompagno al negozio

a ritirare le foto

e tutti e due abbiamo freddo

e di tanto in tanto

ci tocchiamo con le spalle

e con giochi di parole

di molto sotto lo zero

scherziamo sul fatto

che questo gennaio ci sorprende

discretamente invecchiati

e che un tempo siamo stati

ciò che gli altri chiamano

amanti


i nostri fiati

ci precedono quel tanto che basta

a ricordarci che il negozio chiude

alle diciannove e trenta



DALLE 8 ALLE 20


sera dopo sera

la donna viene

con seno grinzo

ad accendere le luci blu

del corridoio


volano i fantasmi

in questa notte di vento

rannicchiato sul fianco sinistro

tipo canedifucile

o attorcigliato quasi fetale

ascolto di un vecchio

la stanca pisciata

quasi nell’alto dei cieli

piangono gli angeli

in questa notte di pioggia

e disteso supino

m’impicco alla solita trave


e ancora si ferma

davanti all’orologiaio

il numero 6

che caricava il mio cappotto grigio

a 200 m dal Ponte di Pietra

e scaricava la mia disperazione

alla fermata di via Flarer

dove mai seppi dirle che l’amavo


mani che accendono candele

nelle notti di neve


mentre calano i sipari sulle lenti

e sul chiodo di Kirillov

a cui è appeso un febbraio di carta

segato in tot parti

da una penombra bluastra


e ancora mi appare

lo spiazzo e la Novalesa poco lontano

dove una donna triste

mi masturbò con mano secolare

mi disse che era un trattamento

di favore

e mi sorrise con lunghi canini

chiesi un tetto

prima di passare il Moncenisio

ma lei non si curò della bufera

e si pulì con un fazzoletto di carta


notte dopo notte

la donna dorme

sull’erba tenera dei suoi desideri

rammendi di paradiso

sul suo volto segnato

da antica voglia d’uomo

stantìo sugo di esami di coscienza

tra i bianchi peli delle ascelle

odor di lavanda sugli occhi

quando di nuovo viene

mattina dopo mattina

a spegnere le luci blu

del corridoio


Estratto dal volume "Collected Poems" di Gino Celoria, Midgard Editrice.


https://midgard.it/product/gino-celoria-collected-poems/


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mercoledì 6 novembre 2024

Intervista a Luca Tancetti

 




Buongiorno Luca, come nasce questa tua opera, Diario di randagismo?

Ciao Fabrizio. Il libro nasce circa due anni fa: il primo pezzo l’ho scritto nel febbraio 2022. 
In questi anni ho avuto modo di intraprendere viaggi un po' all’avventura: portando come me solo quello che uno zaino poteva contenere. Ho camminato lungo vari percorsi sui Sibillini e gli Appennini, lungo la ruta francesa del Cammino di Santiago, ho visto il mar Baltico, girato l’isola di Bornholm in bicicletta e ho camminato lungo la South-West Coast Path in Inghilterra.
Nella maggior parte dei casi, sono partito da solo: i percorsi mi hanno permesso di conoscere persone lungo la strada o mi hanno dato tempo e modo per scavare e vivere in silenzio e pace la mia solitudine.
Il libro nasce dall’esigenza di trasmettere emozioni e sensazioni provate in seguito a viaggi, e incontri fatti nel tempo, che mi hanno permesso di provare e sperimentare qualcosa che io stesso facevo fatica a spiegare razionalmente. O, per essere precisi, non volevo e non voglio spiegare razionalmente. Come diceva la mia professoressa di Letteratura italiana al liceo: “La Poesia è l’effimera espressione di un mondo meravigliosamente incomprensibile”
Il libro e i testi contenuti vogliono trasmettere la bellezza incomprensibile che ho provato in questo periodo di tempo, senza cercare di dare spiegazioni, giustificazioni o argomentazioni. Nasce per trasmettere qualcosa che, per me, è bello e potente in sé per sé e non ha bisogno di altro se non di sé stesso.
Riflettendoci bene: forse, il libro e la successiva decisione di pubblicarlo nascono  anche per esprimere un senso di paternità frustrato. Nasce dalla voglia di far conoscere al mondo una parte di me che solo io conosco e che ho custodito con cura per molto tempo.
Nasce anche come un tentativo, un esperimento. Nasce dall’esigenza di mettere al mondo, nero su bianco, questo lato di me e questo mio sentire. Solo per vederlo camminare con le sue gambe e vedere che strade prenderà.



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

La tematica più importante del libro è per l’appunto il tema del viaggio unito alla voglia di perdersi nel viaggio, cercando sempre nuove mete e nuovi orizzonti.
Contrapposto a questa voglia, si presenta però il desiderio di restare, di costruire un posto da poter chiamare casa. In un libro a me molto caro è riportata la frase: “La vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere o un obiettivo da centrare, ma è una piccola stanza da arredare con cura” (“Un Posto in cui fermarsi” Matteo Bussola). Grazie alla mia amica Irene, che me lo ha regalato.
Per dare un’idea di quello che sto dicendo, porto quest’esempio: l’ultima mia tappa del Cammino di Santiago è stata Finisterre (o Fisterre) in Galizia. Ho raggiunto la città, che un tempo si credeva fosse l’angolo più ad ovest di tutta Europa, dopo 35 giorni di cammino, attraversando tutto il nord della penisola iberica a piedi. Sicuramente, è una delle emozioni più forti che un essere umano possa provare: ci si sente liberi mentre si cammina e si conduce una vita fatta di semplicità, amicizia e conoscenza di sé stessi. Arrivati a Finisterre, molti sono colti da un forte senso di malinconia e tristezza.
Ma sul muro di un bar, all’ingresso della città, è riportata la seguente frase: “Il vero Cammino comincia alla sua fine”. La vera sfida sta nel riportare quell’esperienza di incomprensibile bellezza a casa. Il Cammino è completo quando si riporta a casa la libertà, l’indipendenza e la fierezza che si sono provate perdendosi lungo i sentieri del Nord della Spagna. Del resto, “Così gli Dei hanno decretato: che, nel perdersi, ciascuno possa ritrovare sé stesso.”
Rimane centrale la bellezza di sentirsi perso, viaggiatore, libero. Ma rimane anche, sempre presente, forse un po' velato o mascherato, il desiderio di vivere una casa e il focolare domestico.
Da qui il titolo: il randagismo di colui che non sa prendere parte, che non sceglie. Il randagio come colui che vive ai bordi, che viaggia sempre, sempre in movimento e sempre da qualche parte, ma che non si allontana mai veramente.



Ci sono poeti e scrittori che ti ispirano?

Sono vari i libri da cui ho preso spunto o che mi hanno ispirato, tra tutti sicuramente devo riconoscere una grande importanza a Hesse, che mi ha accompagnato per gran parte dell’adolescenza con “Il Lupo della Steppa”, “Siddhartha”, “Demian” e “Narciso e Boccadoro”. Con ancor maggiore certezza, posso dire che il primo di questi è quello che mi ha colpito più di tutti: nelle prime pagine viene riportato una sorta di manifesto le cui parole sono mi rimaste impresse: “L’uomo non è una forma fissa e definita, ma è un ponte stretto e pericoloso fra la natura e Dio” (frase che poi ho visto comparire anche in “Così parlo Zarathustra”): la contrapposizione mi ha colpito, insieme alla spinta verso un Oltre non ben definito che però sembra essere radicato nell’uomo.
Mi hanno inspirato i libri di Jack London, tra cui “Il Richiamo della Foresta”. Mi ha ispirato Antoine de Saint-Exupéry quando nel libro “Terra degli Uomini” scrive: “Ma laggiù non possedevo più nulla al mondo. Non ero altro che un mortale smarrito tra la sabbia e le stelle, consapevole della sola dolcezza del respirare”. 
Mi sono emozionato, poi, leggendo le parole di Khalil Gibran che, nel libro “Il Profeta”, parlando delle case, scrive: “La Brama di comodità uccide la passione dello Spirito e va ridendo al suo funerale. Ma Voi, figli degli spazi, irrequieti nella quiete, non cederete all’insidia né sarete domati”.
Mi ha ispirato la figura di Ulisse nell’Inferno dantesco: me lo immagino mentre si eccita e si infiamma ancora mentre dice “Dei remi facemmo le ali al folle volo”.
In sintesi, mi hanno inspirato tutti quegli autori che, con un linguaggio non puramente descrittivo, hanno raccontato verità con immagini e simboli: simboli e immagini che mi hanno catturato, mi hanno colpito e mi hanno fatto meditare per la loro natura allo stesso tempo profondamente artistica e semplicemente umana.






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