Ciao Fabrizio. Il libro nasce circa due anni fa: il primo pezzo l’ho scritto nel febbraio 2022.
In questi anni ho avuto modo di intraprendere viaggi un po' all’avventura: portando come me solo quello che uno zaino poteva contenere. Ho camminato lungo vari percorsi sui Sibillini e gli Appennini, lungo la ruta francesa del Cammino di Santiago, ho visto il mar Baltico, girato l’isola di Bornholm in bicicletta e ho camminato lungo la South-West Coast Path in Inghilterra.
Nella maggior parte dei casi, sono partito da solo: i percorsi mi hanno permesso di conoscere persone lungo la strada o mi hanno dato tempo e modo per scavare e vivere in silenzio e pace la mia solitudine.
Il libro nasce dall’esigenza di trasmettere emozioni e sensazioni provate in seguito a viaggi, e incontri fatti nel tempo, che mi hanno permesso di provare e sperimentare qualcosa che io stesso facevo fatica a spiegare razionalmente. O, per essere precisi, non volevo e non voglio spiegare razionalmente. Come diceva la mia professoressa di Letteratura italiana al liceo: “La Poesia è l’effimera espressione di un mondo meravigliosamente incomprensibile”
Il libro e i testi contenuti vogliono trasmettere la bellezza incomprensibile che ho provato in questo periodo di tempo, senza cercare di dare spiegazioni, giustificazioni o argomentazioni. Nasce per trasmettere qualcosa che, per me, è bello e potente in sé per sé e non ha bisogno di altro se non di sé stesso.
Riflettendoci bene: forse, il libro e la successiva decisione di pubblicarlo nascono anche per esprimere un senso di paternità frustrato. Nasce dalla voglia di far conoscere al mondo una parte di me che solo io conosco e che ho custodito con cura per molto tempo.
Nasce anche come un tentativo, un esperimento. Nasce dall’esigenza di mettere al mondo, nero su bianco, questo lato di me e questo mio sentire. Solo per vederlo camminare con le sue gambe e vedere che strade prenderà.
Quali sono le tematiche più importanti del libro?
La tematica più importante del libro è per l’appunto il tema del viaggio unito alla voglia di perdersi nel viaggio, cercando sempre nuove mete e nuovi orizzonti.
Contrapposto a questa voglia, si presenta però il desiderio di restare, di costruire un posto da poter chiamare casa. In un libro a me molto caro è riportata la frase: “La vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere o un obiettivo da centrare, ma è una piccola stanza da arredare con cura” (“Un Posto in cui fermarsi” Matteo Bussola). Grazie alla mia amica Irene, che me lo ha regalato.
Per dare un’idea di quello che sto dicendo, porto quest’esempio: l’ultima mia tappa del Cammino di Santiago è stata Finisterre (o Fisterre) in Galizia. Ho raggiunto la città, che un tempo si credeva fosse l’angolo più ad ovest di tutta Europa, dopo 35 giorni di cammino, attraversando tutto il nord della penisola iberica a piedi. Sicuramente, è una delle emozioni più forti che un essere umano possa provare: ci si sente liberi mentre si cammina e si conduce una vita fatta di semplicità, amicizia e conoscenza di sé stessi. Arrivati a Finisterre, molti sono colti da un forte senso di malinconia e tristezza.
Ma sul muro di un bar, all’ingresso della città, è riportata la seguente frase: “Il vero Cammino comincia alla sua fine”. La vera sfida sta nel riportare quell’esperienza di incomprensibile bellezza a casa. Il Cammino è completo quando si riporta a casa la libertà, l’indipendenza e la fierezza che si sono provate perdendosi lungo i sentieri del Nord della Spagna. Del resto, “Così gli Dei hanno decretato: che, nel perdersi, ciascuno possa ritrovare sé stesso.”
Rimane centrale la bellezza di sentirsi perso, viaggiatore, libero. Ma rimane anche, sempre presente, forse un po' velato o mascherato, il desiderio di vivere una casa e il focolare domestico.
Da qui il titolo: il randagismo di colui che non sa prendere parte, che non sceglie. Il randagio come colui che vive ai bordi, che viaggia sempre, sempre in movimento e sempre da qualche parte, ma che non si allontana mai veramente.
Ci sono poeti e scrittori che ti ispirano?
Sono vari i libri da cui ho preso spunto o che mi hanno ispirato, tra tutti sicuramente devo riconoscere una grande importanza a Hesse, che mi ha accompagnato per gran parte dell’adolescenza con “Il Lupo della Steppa”, “Siddhartha”, “Demian” e “Narciso e Boccadoro”. Con ancor maggiore certezza, posso dire che il primo di questi è quello che mi ha colpito più di tutti: nelle prime pagine viene riportato una sorta di manifesto le cui parole sono mi rimaste impresse: “L’uomo non è una forma fissa e definita, ma è un ponte stretto e pericoloso fra la natura e Dio” (frase che poi ho visto comparire anche in “Così parlo Zarathustra”): la contrapposizione mi ha colpito, insieme alla spinta verso un Oltre non ben definito che però sembra essere radicato nell’uomo.
Mi hanno inspirato i libri di Jack London, tra cui “Il Richiamo della Foresta”. Mi ha ispirato Antoine de Saint-Exupéry quando nel libro “Terra degli Uomini” scrive: “Ma laggiù non possedevo più nulla al mondo. Non ero altro che un mortale smarrito tra la sabbia e le stelle, consapevole della sola dolcezza del respirare”.
Mi sono emozionato, poi, leggendo le parole di Khalil Gibran che, nel libro “Il Profeta”, parlando delle case, scrive: “La Brama di comodità uccide la passione dello Spirito e va ridendo al suo funerale. Ma Voi, figli degli spazi, irrequieti nella quiete, non cederete all’insidia né sarete domati”.
Mi ha ispirato la figura di Ulisse nell’Inferno dantesco: me lo immagino mentre si eccita e si infiamma ancora mentre dice “Dei remi facemmo le ali al folle volo”.
In sintesi, mi hanno inspirato tutti quegli autori che, con un linguaggio non puramente descrittivo, hanno raccontato verità con immagini e simboli: simboli e immagini che mi hanno catturato, mi hanno colpito e mi hanno fatto meditare per la loro natura allo stesso tempo profondamente artistica e semplicemente umana.
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