venerdì 12 agosto 2022

Divieto di accesso

 di Alexandra Fischer.






La torre in pietra azzurra svettava in tutta la sua magnificenza nel cielo di aprile.
Le sue mattonelle, decorate con una vernice speciale a specchio, avevano ammaliato parecchi visitatori venuti da tutto il mondo.
Era un fascino mortale, come provava la macchia di sangue sul marciapiede di fronte alla facciata; poco lontano da una macchia, c’era un carretto con sopra un tappeto intriso quasi completamente dello stesso fluido vitale.
Il conducente di quel carretto aveva notato che un angolo della trama era intatto e mostrava il disegno di una creatura a sei zampe coperta di piume metalliche blu notte e dal muso tondo, incorniciato da una raggiera di peluria simile a una corona di fiammelle e dagli occhi stravolti in un’espressione demente e sembravano irridere alla tragedia avvenuta poche ore prima.
Particolare, questo, che lo ha lasciato freddo: incidenti simili erano aumentati per colpa dei troppi turisti.
Lui ne dava anche causa alla torre e se ne teneva lontano il più possibile: sulla lunetta della porta d’ingresso, quello che sembrava un innocuo motivo di campanule bianche in un prato blu notte, era in realtà un monito per gli incauti.
Entrare, significava morire e lui poteva vederlo da sé il rigonfiamento del tappeto, la mano piagata dalle ustioni attraverso le frange, tutti dettagli che non era riuscito a nascondere, quasi la creatura a sei zampe si fosse indispettita al punto da voler mostrare ai passanti l’accaduto.
Il conducente del carro sbuffò, per la calura e il timore di imbattersi in qualche curioso; non sopportava il modo di fare di quel tipo di individuo: fingeva di ammirare le case vicine dalle mattonelle color pesca e le finestre dalle vetrate a motivi di ninfee e stagni dalle acque argentee, per poi gironzolare di proposito intorno alla torre finché il custode non arrivava e cominciava a tradurgli il testo del cartello collocato sulla porta.
Subito dopo, il custode metteva in guardia il curioso di turno in merito alla pericolosità della torre, sospirava, e si stupiva di come la gente fosse tarda a fare proprio l’avvertimento del cartello posto all’ingresso. 
Il custode viveva in una casupola di pietra accanto alla torre ed era sempre impegnato a dissuadere qualcuno: non solo i turisti, la città era piena di monelli incauti. 
Nulla da fare, neanche quando era ricorso ai racconti delle morti atroci avvenute fra quelle mura e con tanto di prove: la torre restituiva qualcosa degli sventurati, un bottone, la lente di un occhiale, il tacco di una scarpa.
I turisti si erano lamentati di lui e per questo era stato ammonito dal capo degli addetti alle ronde diurne e notturne di restare al suo posto: a cosa serviva mostrare loro frammenti sbiancati e graffiati di oggetti qualunque?
Il conducente del carro, presente al momento del rimprovero, si era dispiaciuto parecchio per il custode.
Il capo della ronda lo aveva afferrato per il bavero della tunica e gli aveva rinfacciato che doveva il posto alla carità pubblica.
Il custode era rimasto zitto, si era lisciato le pieghe dell’indumento per poi rientrare nella casupola a testa china.
Il conducente aveva ancora nella mente l’imponente figura del capo, strizzata in una divisa multicolore di seta e con in mano un tirapugni, oltre che l’inseparabile fucile a tracolla.
Guidava il carro con lentezza, e non solo per via dell’indolenza causata dalla calura.
Ogni volta che passava di lì, era certo che il tempo scorresse molto più lentamente rispetto al resto della città e che quel luogo fosse riparato da una sorta di Nicchia Invisibile.
Sì, certo, rifletté, era tardo pomeriggio e cominciavano già ad allungarsi le prime ombre, ma a lui era ben contento di allungare il tragitto per il trasporto della salma, significava maggior guadagno, ma c’era un’altra ragione, una curiosità nei riguardi del defunto, uno straniero rimasto fin troppo a lungo nella città tante volte ricostruita a dispetto degli incendi e dei tafferugli.
Se ne era chiesto il motivo tante volte: dietro agli splendori delle case di pietra decorate con pietre disposte a motivi di raggi solari e dalle vetrate dipinte in modo da dare l’impressione di distese d’acqua si nascondevano umidità e sporcizia.
E questo, glielo avrebbe saputo dire il custode della torre, situata proprio in centro.
Il conducente del carro compativa quell’uomo: si era guadagnato il lavoro di custode per essere sfuggito per caso alla Nicchia 
Invisibile, però non il rispetto.
Chi aveva un certo potere lo maltrattava, gli rinfacciava di essere poco appetibile per le forze che allignavano nella torre.
Chi invece era ai margini della società, lo temeva, perché lo riteneva talmente incattivito con la città da essere sceso a patti con le forze della torre e spesso lo blandiva, per arrivare a fare altrettanto.
Tutti discorsi che lui sentiva al baracchino dove spesso si fermava a mangiare stufato con le spezie e bere birra dai sentori agrumati.
I sapori fantasma gli solleticavano il palato, ma la sete e l’appetito se ne andavano al ricordo dei criticoni del custode, vicini di tavolo che venivano dai laboratori di vetro, dalla conceria e dalla bottega dei tappeti.

Estratto dal racconto "Divieto di accesso" di Alexandra Fischer, secondo piazzato a pari merito nel Premio Midgard Narrativa 2022, presente nell'antologia "Hyperborea 6", Midgard Editrice 2022.


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