martedì 26 ottobre 2021

Il futuro migliore

 di Giulio Rosani.






La colonna di fumo che saliva in cielo dalla piazza centrale della città poteva essere vista da miglia di distanza. Le pareti bianche dei templi riflettevano i raggi del sole di mezzogiorno in quella calda giornata estiva. Il suono delle campane sembrava vicino e distante allo stesso tempo, la loro cadenza scandiva il lento oscillare della fila di pellegrini diretti al Tempio Grande. Enormi falò bruciavano agli angoli della piazza, mentre stormi di piccioni volavano in cerchio sopra la folla, in attesa di un’opportunità per discendere e rubare scarti di cibo abbandonati a terra.
Il centro della piazza era dominato da una grande fontana, la cui acqua forniva un minimo refrigerio dall’intenso calore del sole e dei fuochi accesi nello spiazzo. Molte persone nella folla spingevano per avvicinarvisi, sia per dissetarsi che per lavare via il misto di sudore e cenere che restava loro appiccicato addosso. Su uno dei lati della piazza, una rissa minacciava di rovesciare una bancarella di frutta, facendo rotolare dal bancone una mela che finì tra i piedi della folla, calciata in giro per la piazza.
Dal suo podio a lato del Tempio, Armenius ne osservò la traiettoria, al contempo recitando il suo solito sermone sull’importanza di pentirsi dei propri peccati prima che fosse troppo tardi. La sua veste scarlatta era impregnata di sudore e gli restava appiccicata come una seconda pelle. Un movimento ed una faccia famigliare ai piedi della piattaforma quasi gli fecero perdere il filo della sua violenta retorica.
Finalmente la ragazza ha deciso di farsi viva, pensò.
Nonostante avesse avuto l’impressione di averla scorta nella folla già nei due giorni precedenti, rimase sorpreso nel vederla in prima fila; di solito si piazzava in fondo al gruppo di fedeli che lo ascoltava e cercava di attirare la sua attenzione durante le sue brevi pause. Averla direttamente sotto il suo podio a fissarlo così intensamente, era decisamente un’esperienza nuova. Decise che, finito il sermone, le avrebbe concesso udienza.
La piazza del Tempio Grande di Krath, detto il Sommo, dio del fuoco e ultimo dio superstite del Declino, era uno spettacolo imponente per le centinaia di pellegrini che la visitavano ogni giorno. I tre palazzi di marmo bianco, disposti a ferro di cavallo e alti cinque piani ciascuno, erano decorati con drappeggi rossi, raffiguranti una lancia fiammeggiante, che coprivano gran parte delle loro facciate. Il Tempio Grande era situato al centro, mentre in uno dei due edifici ai lati venivano ospitati le guardie e i Novizi e nell’altro il resto del clero. In aggiunta a questo, i fuochi e le decine di Sacerdoti che guidavano le preghiere dei fedeli testimoniavano ulteriormente la potenza e l’influenza del dio.
Per chi invece vi passava la maggior parte dei propri giorni a predicare, essa dava tutt’altra impressione. Il caldo ed il fumo dei falò erano una tortura per occhi e gola, ed a volte era difficile seguire il proprio discorso quando altre decine di Sacerdoti cercavano continuamente di sovrastare la voce dei loro colleghi. Il fatto poi che la maggior parte dei pellegrini siano donne schiamazzanti venute ad implorare il Sommo di dar loro un figlio maschio, di certo non aiuta, pensò Armenius.
Tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che il suo rimpiazzo stava salendo i gradini del podio. Come Sacerdote del Sommo gli era richiesta solo mezza giornata di prediche, al contrario dei Predicatori che dovevano passarla per intero a guidare la fila di pellegrini. Se c’era una cosa che lo spronava a dare il meglio in quelle ore soffocanti, era l’idea che una volta promosso a Saggio non avrebbe mai più dovuto vedere quella piazza maledetta.
“Ed è per questo che è importante non pensare solo al rito di filiazione! Il Sommo richiede ad ognuno di farsi carico dei propri peccati; di elencare ogni trasgressione, imprimerla su carta, cosicché i suoi fuochi possano poi eliminarne ogni traccia! Non tralasciate niente, poiché tutto ciò che il fuoco non brucia, non sarà perdonato! La fine del Declino è alle porte e solo gli onesti saranno ammessi al Suo cospetto!” esclamò, concludendo il suo sermone.
Fece due passi indietro, si tolse il grosso medaglione di bronzo che portava al collo e lo porse al suo rimpiazzo. Il nuovo Sacerdote, Darius, lo guardò interdetto alla menzione della presunta fine del Declino, ma non gli rivolse parola ed immediatamente incominciò la sua predica. I precetti del Sommo dicevano che la folla non doveva essere lasciata senza una guida sacra neanche per un istante.
Alla base della piattaforma un Novizio già lo aspettava con un panno umido per permettergli di pulirsi faccia e mani ed una caraffa piena di acqua e fette di limone. Il ragazzo lo guardava con un’espressione rapita. “Come sempre siete un’ispirazione per le masse, Sacerdote. Il modo in cui ne comandate l’attenzione è testimonianza del favore divino che vi è garantito. Quando finalmente anch’io verrò promosso Predicatore, potrò solo aspirare ad avere una frazione del vostro carisma” disse.
Armenius nascose un moto di stizza dietro al panno offerto e con cui si stava pulendo la faccia. Per ben due volte quella mattina aveva dovuto attirare l’attenzione del ragazzo per avere un sorso d’acqua tra una predica e l’altra. Un singolo intervallo nel suo sermone era già inscusabile, due erano motivo sufficiente perché il ragazzo venisse frustato severamente. Non credo tu vedrai mai quella promozione, pensò infatti.
“Preoccupati di servire al meglio i tuoi superiori e la tua promozione potrebbe non essere solo un sogno” gli disse aggiustandosi una ciocca grigia dalla fronte. Nonostante le sue sole trentasei estati, la sua rapida ascesa nei ranghi del tempio aveva risparmiato solo pochi dei suoi capelli rendendo il loro castano intenso un vago ricordo. Faceva finta di non preoccuparsene, ma spesso si sorprendeva a ispezionarsi in uno specchio o nel riflesso di una superficie d’acqua.
“Sì, Sacerdote!” disse il ragazzo sorridendo evidentemente ignaro del fatto che non aveva voluto incoraggiarlo. Armenius si versò un bicchiere e si godette il fresco scorrere del liquido giù per la gola ed il gusto acidulo dei limoni sulla lingua, poi gettò al ragazzo il contenitore vuoto.
“Adesso torna al tuo posto e fai in modo che il Sacerdote Darius non ti debba chiamare trenta volte per dissetarsi.”
Questa volta il ragazzo comprese il rimprovero e corse ad adempire ai suoi doveri. Il Sacerdote invece si diresse verso il lato sinistro della piazza dove era situato l’edifico che fungeva da abitazione e studio per i membri del clero. Sui gradini che portavano all’interno del palazzo rialzato, fece cenno ad una delle guardie di avvicinarsi.
“Il Novizio che mi ha servito questa mattina ha bisogno di un incoraggiamento a fare meglio il suo dovere” disse, fissando i propri occhi scuri sul ragazzo in questione.
“Sarà mio piacere guidarlo nella pratica” rispose la guardia seguendo il suo sguardo e accogliendo la chiara implicazione con un sorriso.
Armenius si diresse verso l’edificio e si fermò brevemente all’ombra dell’entrata, lasciandosi rinfrescare dalla lieve corrente d’aria prima di dirigersi verso la propria abitazione. Al contrario dell’esterno, dominato da marmo bianco e stoffe rosse, il pavimento e le pareti dell’interno erano fatti di pietra scura e ricoperti di tappeti ed arazzi di colore blu: colori che dovevano ricordare ai Sacerdoti che chiunque, persino chi serviva il Sommo, poteva essere condannato al gelo degli Inferi, lontano dalla luce e dal calore divino.
Su entrambi i lati del lungo corridoio in cui si trovava si affacciavano molte porte. Le abitazioni personali dei Sacerdoti occupavano la parte dell’edificio rivolta verso il centro della piazza; i loro studi invece davano sulle strade che portavano verso il resto della città. Più lontano dall’entrata alloggiava un Sacerdote, più alto era il suo favore all’interno del Tempio. L’uomo entrò in una delle porte al centro del corridoio, con un sospiro si tolse la pesante tunica da Predicatore e la ripose piegata nell’angolo, dove i servitori sapevano di dover raccogliere i suoi indumenti sporchi. 
La stanza era immersa nell’ombra, l’unica finestra era oscurata da uno dei drappeggi esposti sulla facciata che dava sulla piazza. La poca luce che riusciva ad entrare nella stanza tingeva di rosso l’intero spazio. L’uomo si diresse verso la bacinella di acqua fresca lasciata davanti al suo guardaroba e si spogliò dei vestiti sudati che ancora portava. Liberarsi dal sudore e dalla cenere accumulati per l’intera mattinata gli dava una sensazione che non smetteva mai di apprezzare.
Avrebbe voluto prendersi qualche ora di riposo, ma il viso della ragazza continuava a tormentarlo. Non era mai stata così determinata nel volerlo vedere e inoltre era curioso di sapere che fine aveva fatto nel corso dell’anno precedente. Nonostante lui avesse pagato degli uomini per tenerla d’occhio, lei aveva più volte fatto perdere le proprie tracce. Insospettito, lui li aveva mandati a chiederle spiegazioni. Da come lei lo aveva guardato, era abbastanza certo di cosa volesse parlare.



Estratto dal racconto "Il futuro migliore" di Giulio Rosani, dall'antologia "Hyperborea 5" (Midgard Editrice).







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