mercoledì 28 ottobre 2020

La nuova birra

 di Antonio Garosi.




Tutto il corpo le tremava come una foglia, le dita le coprivano la faccia, non impedendo alle calde lacrime di scivolare sul dorso delle mani e cadere su quei piedi freddi, che non avrebbero mai più sentito il calore del pianto e nemmeno quello dell’affetto nei suoi confronti.

“Jahi perché?” il pianto si intensificò ed un nodo in gola le impedì di respirare.

Il corpo giaceva tra la polvere, in mezzo alla strada. Una mano era protesa in avanti con il pugno chiuso. Il coltello che aveva conficcato nella schiena, mostrava il suo manico intagliato.

Un rumore la fece trasalire. Si voltò bruscamente. Era protetta da un gruppo di cinque palme a cespuglio. Ma ora era giunto il momento di decidere: cosa doveva fare? Doveva fuggire? O doveva rimanere accanto a Jahi?

Perse la testa solo quando si accorse che quelli che stavano sopraggiungendo erano soldati. In quello stesso istante si sollevò e fuggì con lo scatto degno di una gazzella.

Il leggerissimo velo di lino, che portava sulle spalle, volò via; accarezzò il volto del giovane e si posò davanti ai suoi occhi marroni, che fissavano la terra senza vederla.

Aveva un disperato bisogno di parlare con qualcuno. Doveva confidarsi, doveva parlare di quell’orrore. Doveva farlo il prima possibile. Corse sul tufo dei viali alberati di Alessandria, superò vicoli, con fatiscenti capanne in legno; sfiorò grandi abitazioni con forti mura in pietra. Uno solo, un solo uomo avrebbe potuto aiutarla a capire. Ed era colui che doveva cercare.

Corse ancora più veloce per raggiungere quella casa.

Lui forse aveva una spiegazione per tutto quell’orrore.

Quando spalancò la porta, l’uomo stava dormendo pesantemente, prono, su un pagliericcio gettato a terra. Possibile che si potesse dormire in un momento come quello?

Aveva trascorso l’intera nottata a scrivere. I suoi occhi avevano fatto uno sforzo incredibile, alla tremolante luce di quella lanterna. Tutto perché ci era stato costretto da quel commerciante. Doveva assolutamente far partire quella lettera la mattina successiva; con le navi che salpavano per la Grecia.

Fortunatamente durante tutti gli anni trascorsi al palazzo reale, aveva imparato a scrivere anche in greco.

Spense la lanterna e si sdraiò sul materasso, per riposare, nelle poche ore che mancavano all’alba. Il sonno fu più agitato del solito. Sognò suo nipote che le parlava, ma non riuscì a capire le sue parole.

Quando Ra, il disco solare si sollevò in cielo, prese la lettera deciso a recarsi al porto.

I forti colpi alla porta lo fecero sussultare. Aprì, era un soldato proveniente direttamente dal palazzo reale.

“Menet! Menet! si tratta di vostro nipote Jahi. Ha avuto un brutto incidente. Se volete seguirmi, per favore…”.

Il resto del discorso non lo capì, ma nonostante il sole fosse alto in cielo, nei suoi occhi e nella sua mente, calò il buio.

Cercò di non pensare. Però gli ritornarono in mente i momenti trascorsi con il nipote, le passeggiate, mano nella mano, il calore che quella manina, così piccola, gli trasmetteva.

Si lasciò scappare un singhiozzo. Pensò di nuovo al nipote, che si aggrappava al suo gonnellino plissettato, per essere preso tra le braccia. Al sapore dei datteri che raccoglieva sua moglie e che loro mangiavano non appena facevano ritorno a casa.

Si convinse che doveva cercare nel loro passato il significato di quel sogno funesto, che aveva agitato la sua nottata.

Tolomeo dodicesimo non poteva essere tranquillo. Il problema non erano i dolori che di tanto in tanto lo affliggevano e nemmeno il pericolo di aggressione da parte di Roma. Per quello aveva provveduto con un patto d’acciaio che per tutta la sua esistenza avrebbe garantito l’Egitto intero.

I commerci che all’inizio del suo regno andavano a meraviglia, con il passare del tempo stavano divenendo soffocanti. Il continuo attraversare il mare da parte di navi provenienti dall’Italia, rischiavano di opprimere, i commerci del suo popolo. Ma lui non lo avrebbe permesso.

Interruppe il corso dei suoi pensieri e si fermò a riflettere, sotto al baldacchino dove una leggera stoffa in lino lo proteggeva dal sole.

Ormai conosceva tantissima gente a Roma ed aveva tutta l’intenzione di farsi rispettare.

La passeggiata che si concedeva, spesso, da solo nel suo giardino, adornato con gelsomini, rose e fiori di loto; che gli conferivano un odore unico. Era uno dei pochi momenti rilassanti nel corso della sua giornata.

Osservò le piante colorate di cedri e melagrane, prima di tornare con la mente sull’ultima grana che lo aveva colpito in prima persona. L’uccisione del suo scriba e la sparizione di quel preziosissimo rotolo di papiro.

Un’altra delle cose che gli piaceva fare in quel luogo era conversare con Teremun, il suo consigliere.

Erano tutti e due occupatissimi, ma si concedevano volentieri un po’ di tempo per parlare del più e del meno.

“Cosa succede?” gli domandò non appena lo vide avvicinarsi

con la sua classica camicia verde.

“Menet, il vecchio scriba, chiede di parlare con voi”.

“Fallo venire qui”.

Menet si avvicinò al faraone, inginocchiandosi fino a toccare terra con la fronte.

“Alzati” gli sorrise.

“Vostra maestà, dopo tanti anni trascorsi a vostro servizio, chiedo di poter parlare con voi, anche se mi sono ritirato a vita privata”.

Un cenno bastò per far capire al suo consigliere di allontanarsi. Così i due rimasero soli.

Quando osservò il viso del nonno di Jahi, le tornarono in mente, gli innumerevoli papiri che aveva scritto per lui. Si rattristò per le rughe che apparivano sul volto del vecchio, così ruppe il protocollo dicendo: “Sono addolorato per quello che è successo a vostro nipote, e non solo per quello. Dovete sapere che hanno ucciso vostro nipote per rubare un preziosissimo documento che mi apparteneva. Così mi sento responsabile dell’accaduto”.

Menet osservò la bianca veste del Faraone, decorata in oro, che in alcune occasioni lo rasserenava. Ma questa volta non provò emozioni.

“Posso domandare che cosa conteneva quel documento?”.

“Parlava di una nuova birra, del tutto diversa da quella d’orzo, della ricetta sacra. Mi hanno detto, addirittura,

che a questa nuova ricetta non è necessario aggiungere il miele”.

“Mio Faraone, è impossibile, una birra senza miele sarebbe tanto amara da non poter essere bevuta”.

E così Jahi era morto per una birra; tanto importante da richiedere l’uccisione di un giovane per rubarne la ricetta.

Per un attimo gli balenò in mente la possibilità che il suo re lo avesse ingannato raccontandogli una frottola. Scacciò quell’idea. Un condottiero tenuto a far rispettare ai suoi sudditi una condotta morale irreprensibile, non poteva mentire.


Estratto dal racconto "La nuova birra" di Antonio Garosi, Vincitore Premio Giallobirra 2016, dall'ebook Giallobirra 4, Midgard Editrice 2020.

http://midgard.it/giallobirra4_ebook.htm

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