venerdì 3 agosto 2018

Una guerra del Trecento

Il conflitto fra guelfi e ghibellini nell’Alta Valle del Tevere
di Fabrizio Bandini





Al principio del Trecento la potente famiglia ghibellina dei Tarlati di Pietramala, di origini longobarde, impose la propria signoria su Arezzo e da lì cominciò la sua espansione nelle terre circostanti.

La casata era guidata da Guido, sagace e volitivo vescovo della città toscana, che ridiede forza al partito ghibellino e nel 1321 venne nominato signore a vita di Arezzo.

Dopo aver espanso la sua sfera di influenza in Toscana, contrapponendosi alle forze guelfe, come i conti Guidi di Romena, il vescovo decise l’affondo contro Città di Castello, che era guidata dalla nobile casata dei Guelfucci, che come il nome dice erano di parte guelfa.

Il Tarlati, giocando sui rancori creati dai Guelfucci, seppe tratte dalla propria parte, sagaciter et industre, i marchesi di Civitella e gli Ubaldini della Carda, e nella notte del 2 ottobre 1323 i ghibellini entrarono in Città di Castello, vittoriosi, scacciando i Guelfucci.

Perugia, la potente città guelfa dell’Umbria, si mise subito in allarme per l’espansione dei Tarlati.

Il comune umbro decise allora di fortificare Montone e Montemigiano, sottomettere Promano, per circondare i suoi nemici, e mise a capo dell’esercito guelfo il marchese Guido Collotorto, signore di Monte S. Maria, il primo di marzo del 1324.

Il valoroso marchese si scagliò subito contro le forze ghibelline, ma dovette ben presto subirne la controffensiva.

Perugia cercò allora un accomodamento con il vescovo Tarlati, inviandogli quattro suoi ambasciatori, che lo trovarono fra Monterchi e Monte S. Maria, ma  i colloqui finirono con un nulla di fatto.

L’offensiva ghibellina si fece allora più violenta, ben presto Promano e Monte S. Maria furono poste sotto assedio.

I guelfi perugini allora inviarono in loro aiuto delle truppe, guidate da Tebaldo Michelotti, e chiesero l’aiuto dei comuni guelfi di Orvieto, Spoleto e Gubbio, che inviarono dei rinforzi guidati da Cante Gabrielli, il famoso guelfo nero, già potestà di Firenze, cacciatore di ghibellini e guelfi bianchi, come Dante Alighieri, da lui esiliato nel 1302 dalla città toscana.

Ma la situazione non ebbe miglioramenti per la parte guelfa, il Monte restò sempre sotto assedio per tutto il corso del 1326.

Alla fine di quell’anno Perugia, “stremata in uomini e denari”, come scrive l’Ascani, inviò di nuovo i suoi ambasciatori per trattare con il Tarlati, ma le condizioni poste dal potente vescovo ghibellino furono ritenute inaccettabili.

La guerra quindi continuò, imperterrita.

Guido Tarlati si trovava allora al culmine della sua potenza, era visto ovunque come il capo naturale del partito ghibellino, tanto che lo stesso imperatore Ludovico il Bavaro, appena sceso in Italia, volle ricevere dal vescovo di Arezzo la corona ferrea.

Il papa Giovanni XXII da Avignone l’aveva scomunicato per la sua ripetuta disubbidienza, ma il Tarlati proseguiva per la sua strada.

Ebbe dall’imperatore il permesso di occupare Borgo S. Sepolcro e di continuare la sua offensiva contro i guelfi umbri.

Alla fine del settembre 1327 Pier Saccone Tarlati, fratello del vescovo Guido, enorme cinghiale dell’Appennino e ghibellino silvestre, come lo descrive pittorescamente il Bonazzi, lanciò un violento attacco contro il Monte S. Maria, deciso a farla cadere.

“Il Saccone fece costruire 5 battifolle alle mura e due trabocchi, vi pose delle catapulte per tirar pietre d’una certa mole” scrive l’Ascani.

I perugini, avvertiti dell’aggravarsi dell’assedio, raccolsero allora tutte le milizie a loro disposizione e il 21 ottobre partirono in aiuto del feudo del marchese Guido Collotorto.

Furono in vista del Monte quando giunse loro la notizia della morte del vescovo Guido Tarlati in Maremma, che prima di spirare aveva chiesto perdono al papa e si era riconciliato con la Chiesa.

La notizia portò costernazione e paura nelle file ghibelline, tanto che Pier Saccone Tarlati ordinò la ritirata e l’assedio del Monte S. Maria venne così rotto.

I guelfi perugini non si accontentarono, visto il momento favorevole posero l’assedio a Città di Castello, ma la città resistette ad ogni loro attacco.

Nel dicembre del 1327 si venne allora alla pace, Città di Castello restava ai Tarlati e ai ghibellini, Perugia poteva inviarvi un potestà, ma con la clausola che fosse ghibellino.

La potenza della nobile casa dei Tarlati di Pietramala era ancora grande.

Solamente nel 1335 i guelfi riusciranno a scacciare i Tarlati e i ghibellini da Città di Castello.





Bibliografia


Luigi Bonazzi, Storia di Perugia
Angelo Ascani, Monte Santa Maria e i suoi marchesi
Cecilia Mori Bourbon di Petrella, Terra Marchionum

Immagine: stemma dei Tarlati

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#Una-guerra-del-Trecento #Fabrizio-Bandini

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