di Fabrizio Bandini
Al principio del Trecento la potente famiglia
ghibellina dei Tarlati di Pietramala, di origini longobarde, impose la propria
signoria su Arezzo e da lì cominciò la sua espansione nelle terre circostanti.
La casata era guidata da Guido, sagace e
volitivo vescovo della città toscana, che ridiede forza al partito ghibellino e
nel 1321 venne nominato signore a vita di Arezzo.
Dopo aver espanso la sua sfera di influenza in
Toscana, contrapponendosi alle forze guelfe, come i conti Guidi di Romena, il
vescovo decise l’affondo contro Città di Castello, che era guidata dalla nobile
casata dei Guelfucci, che come il nome dice erano di parte guelfa.
Il Tarlati, giocando sui rancori creati dai
Guelfucci, seppe tratte dalla propria parte, sagaciter et industre, i
marchesi di Civitella e gli Ubaldini della Carda, e nella notte del 2 ottobre
1323 i ghibellini entrarono in Città di Castello, vittoriosi, scacciando i
Guelfucci.
Perugia, la potente città guelfa dell’Umbria, si
mise subito in allarme per l’espansione dei Tarlati.
Il comune umbro decise allora di fortificare
Montone e Montemigiano, sottomettere Promano, per circondare i suoi nemici, e
mise a capo dell’esercito guelfo il marchese Guido Collotorto, signore di Monte
S. Maria, il primo di marzo del 1324.
Il valoroso marchese si scagliò subito contro le
forze ghibelline, ma dovette ben presto subirne la controffensiva.
Perugia cercò allora un accomodamento con il
vescovo Tarlati, inviandogli quattro suoi ambasciatori, che lo trovarono fra
Monterchi e Monte S. Maria, ma i
colloqui finirono con un nulla di fatto.
L’offensiva ghibellina si fece allora più
violenta, ben presto Promano e Monte S. Maria furono poste sotto assedio.
I guelfi perugini allora inviarono in loro aiuto
delle truppe, guidate da Tebaldo Michelotti, e chiesero l’aiuto dei comuni
guelfi di Orvieto, Spoleto e Gubbio, che inviarono dei rinforzi guidati da
Cante Gabrielli, il famoso guelfo nero, già potestà di Firenze, cacciatore di
ghibellini e guelfi bianchi, come Dante Alighieri, da lui esiliato nel 1302
dalla città toscana.
Ma la situazione non ebbe miglioramenti per la
parte guelfa, il Monte restò sempre sotto assedio per tutto il corso del 1326.
Alla fine di quell’anno Perugia, “stremata in
uomini e denari”, come scrive l’Ascani, inviò di nuovo i suoi ambasciatori per
trattare con il Tarlati, ma le condizioni poste dal potente vescovo ghibellino
furono ritenute inaccettabili.
La guerra quindi continuò, imperterrita.
Guido Tarlati si trovava allora al culmine della
sua potenza, era visto ovunque come il capo naturale del partito ghibellino,
tanto che lo stesso imperatore Ludovico il Bavaro, appena sceso in Italia,
volle ricevere dal vescovo di Arezzo la corona ferrea.
Il papa Giovanni XXII da Avignone l’aveva
scomunicato per la sua ripetuta disubbidienza, ma il Tarlati proseguiva per la
sua strada.
Ebbe dall’imperatore il permesso di occupare
Borgo S. Sepolcro e di continuare la sua offensiva contro i guelfi umbri.
Alla fine del settembre 1327 Pier Saccone
Tarlati, fratello del vescovo Guido, enorme cinghiale dell’Appennino e
ghibellino silvestre, come lo descrive pittorescamente il Bonazzi, lanciò
un violento attacco contro il Monte S. Maria, deciso a farla cadere.
“Il Saccone fece costruire 5 battifolle alle
mura e due trabocchi, vi pose delle catapulte per tirar pietre d’una certa
mole” scrive l’Ascani.
I perugini, avvertiti dell’aggravarsi
dell’assedio, raccolsero allora tutte le milizie a loro disposizione e il 21
ottobre partirono in aiuto del feudo del marchese Guido Collotorto.
Furono in vista del Monte quando giunse loro la
notizia della morte del vescovo Guido Tarlati in Maremma, che prima di spirare
aveva chiesto perdono al papa e si era riconciliato con la Chiesa.
La notizia portò costernazione e paura nelle
file ghibelline, tanto che Pier Saccone Tarlati ordinò la ritirata e l’assedio
del Monte S. Maria venne così rotto.
I guelfi perugini non si accontentarono, visto
il momento favorevole posero l’assedio a Città di Castello, ma la città
resistette ad ogni loro attacco.
Nel dicembre del 1327 si venne allora alla pace,
Città di Castello restava ai Tarlati e ai ghibellini, Perugia poteva inviarvi
un potestà, ma con la clausola che fosse ghibellino.
La potenza della nobile casa dei Tarlati di
Pietramala era ancora grande.
Solamente nel 1335 i guelfi riusciranno a
scacciare i Tarlati e i ghibellini da Città di Castello.
Bibliografia
Luigi Bonazzi, Storia di Perugia
Angelo Ascani, Monte Santa Maria e i suoi
marchesiCecilia Mori Bourbon di Petrella, Terra Marchionum
Immagine: stemma dei Tarlati
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