martedì 25 gennaio 2022

Dike Eusebeia

 



Il pianeta Tkash è situato a una distanza di 15 anni luce da Alpha Centauri. 
È un pianeta antico, ma, per le sue dimensioni ridotte, non evoluto. 
Le sue temperature oscillano tra i 35° di giorno e i -5° di notte. 
Le montagne dell’emisfero nord sono innevate, mentre quelle a sud verdissime. 
Vi è una piacevole alternanza di stagioni che rende la vivibilità del pianeta ottima. 
La flora è rigogliosa nella fascia equatoriale, mentre è assente ai poli. 
Gli abitanti, distribuiti uniformemente sulla fascia centrale del pianeta, coltivano la terra sfruttando al massimo ogni tipo di risorsa. 
L’energia è naturale. 
Esistono sistemi eolici e idraulici intorno alle città, che sono poche ma estese e non sovraffollate, perché ogni famiglia possiede vasti terreni da coltivare e molti animali da allevare secondo il regolamento del pianeta.
Questo è controllato da un presidente che ha largo spazio sulle decisioni locali, ma che deve rendere conto al Re delle Stelle, unico governatore di ogni pianeta. 
Al tramonto della stella più vicina s’intravedono dei pianeti, ma dopo 27 minuti, al calar della seconda stella più lontana, si distinguono tutte le stelle dell’universo con una chiarezza singolare. 
I giovani sono soliti restare lungo i fiumi a guardare le stelle…


Sophie chiuse il libro di conoscenza geografica e lo appoggiò sulle gambe, guardò le stelle dall’alta torre del suo casolare di campagna, circondato da animali in libertà. 
Era una ragazza dallo sguardo malinconico. 
Appoggiata al davanzale della sua finestra ascoltava la musica di sottofondo, con la luce spenta per vedere meglio il cielo. 
Viveva in quella casa con i suoi genitori, non si lamentava mai del suo lavoro, anche se per una ragazza della sua età era faticoso stare sempre a contatto con gli animali e il sole. 
La sua pelle chiara poteva risentirne, ma per fortuna non si era mai presa una scottatura. 
Era sempre attenta e volenterosa, rinunciava al divertimento per salvare qualche animale in difficoltà. 
I suoi genitori erano fieri di lei, spesso la invogliavano ad andare in giro a divertirsi, ma lei rinunciava per chiudersi nella sua stanza a leggere qualche libro o dipingere: questo le riusciva benissimo.
La gente del posto la conosceva per avere addomesticato i Lehmn, animali fantastici e feroci, forse perché mai entrati in contatto con l’uomo. 
Nessuno prima di lei era riuscito ad avvicinarne uno; si era persa in un bosco e, nel tentativo di rintracciare la strada, si ritrovò dinanzi a un Lehmn. 
La paura fu tanta, che non riuscì a muoversi: lo guardò. 
Quello sguardo bastò al Lehmn per addolcirsi e farsi accarezzare. 
Quando arrivarono i soccorsi la trovarono addormentata protetta dal Lehmn, che non appena vide quelle persone fuggì via. 
Da allora venne considerata una ragazza speciale.
Adesso stava guardando il cielo con tutte le stelle e si accorse che una di esse si faceva sempre più vicina. 
Spesso nel pianeta Tkash si vedevano piogge di meteoriti, spettacoli meravigliosi, forse più dei giochi pirotecnici, ma Sophie capì che quello non era un meteorite. 
Si lanciò fuori dalla finestra, per saltare sopra la sua moto J5, che era arrivata in un attimo silenziosamente dal garage. 
Sophie salì sulla moto e questa, per il peso della ragazza, raggiunse il suolo sottostante in meno di un secondo, fermandosi a pochi centimetri da terra, poi iniziò a inseguire l’oggetto cadente.
Sophie seguì la caduta dell’oggetto volante, schivando gli alberi e i recinti, attraversando terreni non di sua proprietà. 
Corse senza perdere di vista la scia luminosa che si avvicinò sempre più fino a toccare terra con un tonfo attutito. 
Avrebbe dovuto ancora superare la cascata e, continuando a correre, andò oltre il ruscello e attraversò un dirupo, fino a quando non fu vicina al meteorite. 
Si fermò. Guardò stupita, spense la moto: aveva corso per venti minuti e ormai era abbastanza lontana da casa.
Tutt’intorno era buio, si sentivano solo girare le pale delle eliche della centrale eolica vicina, un brusio continuo che le metteva ansia. 
Da lontano si vedevano le luci del casolare confinante al suo. 
Si era allontanata di molto da casa sua e per di più a un’ora non consentita, ma ormai era là e voleva vedere meglio. 
Si accorse che si era formato un cratere sotto quell’oggetto e che c’era ancora tanta polvere nell’aria. 
Si mise un fazzoletto sulla bocca. 
Il vento allontanava quella polvere che le impediva di vedere e si accorse di essere dinanzi a una piccola navicella chiusa ermeticamente. 
Si guardò intorno, nessuno doveva essersi accorto di niente, tutto taceva. 
Si avvicinò, toccò con la punta dell’indice la navicella per paura che scottasse, invece notò che era fredda. 
Sapeva dell’esistenza di autonavi personali, ma quella che vedeva era la prima. 
Non era enorme, ma era molto più alta di lei; la guardò tutta e camminandoci attorno vide un’incisione su di un lato. 
Si rese conto di riuscire a leggere quelle parole, nonostante non fossero scritte nella lingua del suo pianeta:

Per aprire senza recare danno alle persone: mettere la mano sulle cinque stelle e quando si accende la spia rossa, premere il pulsante verde che comparirà sulla vostra sinistra.


Sophie eseguì tutto senza pensarci: la navicella s’illuminò e si sollevò da terra, un ronzio cominciò a infastidirla, lo sportello si alzò verso l’alto e si sentì uno scricchiolio, l’apertura si allargò e cominciarono a formarsi dei gradini, dopo di che l’autonave ritornò a toccare terra cessando ogni tipo di rumore.
Sophie, che nel frattempo si era nascosta dietro un masso, si avvicinò e, un po’ tra l’incoscienza e la curiosità, cominciò a guardare rendendosi sempre più conto di cosa si trattasse. 
Era una stanza criocongelata: dallo sportello usciva fumo bianco e freddo che scendeva giù dai gradini e arrivava fino a terra, Sophie mise la testa dentro lo sportello aperto e, oltre alla luce che l’abbagliava, vide un ragazzo che dormiva coperto da un lenzuolo bianco.
Allungò la sua mano e toccò quella del ragazzo. 
In quell’istante una forte energia si sprigionò dalle loro mani illuminando la zona circostante ed emettendo un raggio di luce che partiva da loro e proseguiva verso l’alto all’infinito. 
Il ragazzo si svegliò e l’energia cessò all’improvviso. 
Si guardarono.
Il ragazzo avrebbe voluto alzarsi, ma si accorse di essere debole. 
Sophie lo aiutò a uscire dalla navicella e gli avvolse il lenzuolo in vita. 
Camminava, ma cadde su di lei; allora lo adagiò per terra.
«Chi sei? Come ti chiami?» chiese lei incuriosita.
«Josh… sono un messaggero del Regno delle Stelle…» si mise una mano sulla fronte «...un guerriero Dike, sono qui in cerca del principe Esaù…»
Detto questo svenne.
Sophie non sapeva cosa pensare: forse era matto? 
Magari era ricercato dalle guardie reali oppure era solo un astroviaggiatore: non lo sapeva. 
D’un tratto si rese conto che il bagliore di poco prima aveva senz’altro richiamato l’attenzione di qualcuno e pensò sarebbe stato meglio andar via. 
Non avrebbe voluto ritrovarsi addosso le guardie del governatore e dover rispondere di quella stella cadente di cui lei non sapeva nulla. 
Mentre il ragazzo era ancora svenuto per terra, Sophie riuscì a collegare la navicella di Josh alla sua J5. 
Non appena vicine, l’autonave e la moto, fusero i loro metalli e si accesero insieme. 
Sophie sollevò Josh da terra, lo stese con fatica dentro la navicella e con la sua moto si avviò verso casa.
Mora, la luna vicina, illuminava loro la via. 
Il casco copriva i begli occhi della ragazza, ma lasciava fuoriuscire i lunghi capelli lisci, castano chiaro, tra il biondo e la cenere. 
Attraversarono ancora una volta il ruscello e al loro passaggio l’acqua saltellò tutt’intorno. 
Sophie sin da piccola aveva sempre reagito d’istinto senza farsi domande, non aveva mai sopportato i soprusi; manifestava spesso nelle piazze e cercava di essere attiva grazie al comitato interspaziale. 
Ma il suo però era uno dei mondi più lontani e più piccoli del Regno delle Stelle, per cui non aveva voce in capitolo. 
Neanche la notizia di avere addomesticato alcuni Lehmn fece scalpore.
Adesso era sicura di aver infranto la legge, ma non poteva lasciare quel ragazzo nelle campagne a morire. 
Sarebbero arrivate le guardie scelte e lo avrebbero interrogato per poi arrestarlo. 
Avendo parlato del principe Esaù, sarebbe stato suo dovere consegnarlo alle guardie, ma voleva saperne di più. 
Quel rapimento aveva coinvolto gran parte dell’universo e ancora oggi non se ne sapeva nulla.

Estratto dal romanzo "Dike Eusebeia / I guerrieri Dike" di Massimiliano Vermi, Midgard Editrice 2011.


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