mercoledì 24 maggio 2023

Il principe di mezzanotte

 di Mattia Baldelli.







Una leggera brezza varcava le quattro finestrelle poste agli angoli del padiglione B, con il vento entravano dei delicati raggi di sole mattutino, che illuminavano e scaldavano la stanza. La porta del padiglione era rigorosamente aperta e dava su un porticato, dove c’era un vorticoso viavai. All’interno della stanza una sessantina abbondante di persone era desta sulla sedia e pendeva dalle labbra del professore. Lui non era un uomo così spigliato, provava sì ad essere coinvolgente, ma nei suoi occhi si celava un evidente patina di superiorità rispetto agli alunni. Li vedeva avventarsi sul sapere come le mosche si avventano su una carcassa. Il professore credeva fosse naturale che lo ascoltassero, non c’era bisogno che fosse avvincente o stravagante, loro dovevano starlo a sentire. Dovevano continuare a nutrirsi con i suoi monologhi, dovevano lottare per prendere il posto più vicino alla cattedra. Lui adorava questa smania dei suoi adepti di cercar di capire qualcosa delle sue lezioni. Se non fosse stato illegale si sarebbe masturbato lì davanti a tutti, per quanto lo esaltasse la loro dogmatica accondiscendenza. Il professor Maric aveva un ego abnorme che si trascinava dietro ogni mattina, ma di ciò ne era completamente all’oscuro. Andare da uno psicologo probabilmente l’avrebbe demolito. Del resto era un uomo calmo, pagava le tasse, teneva un fondo per il college per degli improbabili figli futuri, viveva in affitto, ingurgitava schifezze in mutande davanti al televisore, votava democratico, si masturbava con le vecchie foto dell’annuario delle compagne di liceo, faceva sesso uno o due volte l’anno, come ogni professore universitario, che si rispetti. Perché allora quell’aula rigonfia di neo-uomini, non si perdeva una parola di quel comunissimo professore? Beh, perché il prof Maric l’anno prima, nel ‘92, aveva pubblicato con una piccola casa editrice, un libro, che secondo il Times “aveva completamente stravolto la sociologia e la concezione che l’uomo ha di sé". Sì, un libro di 300 pagine circa di nome “L’Uomo Novecentenario e qualche piccolo oggetto appresso”. Tranquilli anche un nome decente non avrebbe reso l’idea della profondità di questo libro. Theodore, il professore, era in un periodo scialbo della sua vita, benché fosse stata scialba nella sua totalità, quello era un momento veramente piatto. Si era laureato a venticinque anni in Lettere moderne col massimo dei voti e da un quinquennio circa aveva una cattedra nella stessa Università che lo aveva formato, la NYU. Teneva un corso tetro e noioso, in uno stanzino accanto al distaccamento di Biologia, quasi fuori città. La sua ragazza, brutta, rompipalle, di sinistra era sempre più brutta e rompipalle. Dopo un paio di serate alcoliche iniziò a scrivere questo romanzo e decise di lasciare Beth, la rompipalle. Ci mise un mesetto a ultimare l’opera. Non si meravigliò del successo quasi immediato, Ted sapeva che aveva scritto qualcosa di davvero rivoluzionario. Era solo preoccupato che i suoi colleghi non lo capissero fino in fondo. Cosa che si rivelò poi azzeccata. Non era una banale critica al consumismo, era una critica approfondita all’essere umano e al suo ciclico degenerare. Una lenta ma irrefrenabile involuzione che avrebbe portato l’Uomo Novecentenario a ingurgitare le cose che aveva appresso, per poi logorarsi il retto defecandole, per poi ingoiarle nuovamente. Il professore concepiva il consumismo non solo come uno spasmodico attaccamento alle cose, ma una voglia inquietante di sentirsele dentro, proprie. Tanto che la separazione da esse portava a un logoramento interno terrificante e una voglia animale di riappropriarsene. Ovviamente Maric da buon ometto cattolico, slavo, l’aveva espresso con termini accettabili, non troppo cruenti. Questo agghiacciante ciclo se lo immaginava in testa in maniera ancora più dura e cruenta  ed era contento di averlo rivelato ai suoi lettori, fiero di aver instillato loro l’atroce dubbio di esser l’Uomo Novecentenario. Il libro divenne un bestseller, andò a ruba soprattutto nel ceto più istruito, fu punto di dibattito in numerosi salotti letterari, ma anche in ambienti più alternativi. Per esempio divenne quasi un culto tra gli anarchici, che diedero l’interpretazione violenta di dover uccidere questi uomini novecentenari e distruggere gli oggetti a cui tenevano, per liberare l’umanità, in vista dell’imminente arrivo dell’idealizzato Uomo Millenario, un uomo evoluto che avrebbe finalmente abbattuto il concetto di potere e di Stato. Maric naturalmente si discostò subito da questa interpretazione violenta del suo pensiero, che definiva “abominevole quanto stupida”. Dopo il successo del libro la sua vita era cambiata più di tanto. È vero l’Università gli aveva triplicato lo stipendio per poterlo trattenere, aveva guadagnato qualche milione con le vendite, faceva le lezioni nel padiglione più grande dell’Università e spesso doveva dirottarle in Aula Magna da quanta gente c’era, si scopava qualche troia intellettualoide in più, era stato pure in televisione da Letterman, aveva vinto il Premio Nobel e si era comprato una Mercedes. Ma a parte quello la sua vita era tornata noiosa come prima. 



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