venerdì 4 settembre 2020

La fine di un lavoro ben fatto

 di Giulio Rosani







Il castello di Hohenstein si ergeva su una collina coperta da una folta foresta e dominava la pianura sottostante. I campi di grano, coltivati dalle genti che da generazioni abitavano in quel luogo, coloravano d’oro le sponde del fiume Reiss che li attraversava. La torre più alta del castello era visibile sia dai tre piccoli villaggi sparsi lungo il corso del fiume, che dal monastero di San Giorgio sul Reiss, ultima comunità prima che il corso d’acqua sparisse oltre la collina successiva.

La strada che collegava tra loro i villaggi e giungeva al castello era costeggiata in tutta la sua lunghezza da due filari di cipressi. Tra un albero e l’altro, le bianche mura della fortezza erano ben visibili per l’intero tragitto. Visto da lontano, il castello manteneva la sua aria maestosa, ma quando la strada incontrava i piedi della collina e cominciava a serpeggiare su per il pendio, l’impressione che lasciava su un possibile visitatore cambiava. Man mano che ci si avvicinava, diventava visibile lo stato di abbandono della struttura.

Quella mattina, una donna in sella ad un cavallo era ferma alla base della collina. La sua testa e le spalle erano coperte da un mantello e sotto di esso portava un giubbotto di cuoio senza maniche e delle brache strette in vita da una grossa cintura. Ai piedi aveva degli stivali chiodati, i suoi avambracci erano invece avvolti da strati di bende bianche.

La donna si asciugò la fronte sudata con un pezzo di stoffa e scostò una ciocca di capelli neri sfuggita dalla lunga coda. Si mise una mano sulla fronte per farsi ombra e scrutò la pianura con i suoi occhi verdi intensi. Sporgendosi in avanti, diede una leggera pacca al cavallo. “Siamo quasi arrivati, Zecca. Ancora poco e ti lascio libero di goderti il sole” disse. Zecca scosse la testa e sbuffò, ma riprese il cammino. La donna sorrise sotto il cappuccio e puntò lo sguardo sul castello.

“Questa situazione non piace neanche a me, vecchio mio. Ma se vuoi la tua razione di fieno questa sera, dovrai accompagnarmi al castello. Certo che a vederlo così, non si direbbe il covo di un mostro. Se l’abate di San Giorgio non mi avesse assoldata, sarei passata di qui senza accorgermi di nulla.”

Zecca scosse la testa e sbuffò di nuovo. La donna rise. “Hai ragione, vecchio mio. Perlomeno sappiamo che non stiamo cacciando un drago. Niente alberi carbonizzati o mucche smembrate. Ricordi cosa diceva Mastro Lucas al riguardo? Diceva: ‘Hannah, i draghi sono gli unici mostri con abbastanza palle da non nascondersi.’ Peccato non si sia nascosto lui quando ne ha incontrato uno.”

Hannah rise, di una risata secca che non le raggiunse gli occhi. Zecca non rispose al commento e presto il silenzio scese su di loro. “Manca anche a me, sai?” disse lei dopo che ebbero percorso alcuni metri.

La strada incontrava a valle delle mura un piccolo cimitero, Hannah supponeva fosse stato costruito per ospitare gli abitanti defunti del castello. Quando vi passarono di fianco, lasciò vagare lo sguardo sul terreno e sulle tombe. Col tempo e la mancanza di manutenzione l’erbaccia aveva preso possesso di gran parte del suolo e il posto non sembrava essere stato violato di recente.

“Oltre ai draghi, possiamo anche escludere non-morti e negromanti” disse. Zecca mantenne il suo silenzio. La calma del cavallo la rassicurava: non stava sbagliando la propria valutazione. Lo lasciò libero di continuare a seguire la strada; l’ultimo tratto costeggiava le mura ed era in ombra. Lei rallentò l’andatura per permettere ad entrambi di godersi un po’ di tregua dalla calura estiva.

Ormai sicura di non rischiare più di incontrare nessuno per strada, Hannah si tolse il cappuccio. Si sistemò la coda di capelli corvini dietro la nuca, rivelando al di sotto due orecchie a punta. Ora che il suo viso non era più oscurato dal cappuccio, era possibile vedere che i suoi lineamenti rivelavano tratti sia umani che elfici.

Dopo l’ultimo tornante, Hannah e Zecca raggiunsero finalmente il portone del castello. Rampicanti bloccavano in parte l’anta destra, mentre i cardini di quella sinistra avevano ceduto ed essa giaceva a terra all’interno del cortile; Hannah incitò Zecca ad entrare. Il cortile, come del resto il castello, era abbastanza modesto. Era ovvio che la struttura era stata eretta in un tempo in cui i castelli venivano costruiti a scopo militare e non per dare sfoggio della propria ricchezza. 

Al centro, leggermente defilato rispetto al portone, c’era un pozzo; dietro sorgeva il torrione, parzialmente crollato. Le mura avevano un camminamento, ma le scale d’accesso avevano ceduto. Alla sua destra, Hannah poteva vedere due edifici, uno sembrava aver alloggiato le scuderie del castello, mentre l’altro aveva l’aria tipica di una caserma. Alla sua sinistra si ergeva una costruzione ben più grande delle altre, eretta in uno stile più moderno, che culminava con una torretta sovrastante l’intero castello.

Lo spiazzo centrale era coperto di sanpietrini e fili d’erba spuntavano fra una pietra e l’altra. A parte il cinguettio di alcuni passeri e l’improvviso scricchiolio di un pugno di pietruzze cadute dalle mura di cinta, l’intera rocca era avvolta nel silenzio. Niente di ciò che Hannah poteva vedere indicava che vi fosse stata recente attività. Eppure, lei sentì un lieve brivido lungo la schiena.

“Cosa dici vecchio mio, hai anche tu un brutto presentimento?” disse la donna. Smontò senza fare rumore e slacciò la bisaccia dalla sella. Appena ebbe finito, Zecca cominciò a mordere il freno e indietreggiare verso il portone. Hannah sentì tirare le redini.

“Buono, Zecca! Adesso ti lascio andare. E comunque hai ragione, c’è decisamente qualcosa di marcio qui.” Accarezzò il muso del cavallo, poi legò le redini intorno al corno della sella. “Grazie per avermi portato fin qui. Ci rivediamo quando ho finito. Ti trovo io.”

Appena ebbe lasciato le redini, Zecca scattò via verso l’uscita e la strada che portava giù dalla collina. Il suono degli zoccoli sul selciato rimbombò per tutto il cortile. Hannah depose la bisaccia vicino al pozzo e ne estrasse un falcetto e la sua daga. L’impugnatura dell’arma si fondeva con la sua mano dandole completo controllo sulla lama a doppio taglio. Questa si stringeva ad un terzo circa della sua lunghezza per poi riallargarsi in punta. Era un’arma adatta soprattutto all’affondo, ma utile solo contro avversari umani.

Hannah si mise in guardia con la daga protesa in avanti nella mano destra. La sinistra teneva il falcetto sopra il polso della destra. La donna tese le orecchie e si mise in attesa. Il silenzio nel cortile rimase assoluto. Hannah mantenne la posizione per quello che poteva sembrare un’ora. Finalmente sicura che non vi fosse nessuna minaccia, la donna ripose le armi nella cintura.

“Mostro notturno, dunque. Se fosse stato sveglio adesso, me lo sarei ritrovato addosso, con tutto il casino che Zecca ha fatto. Visto che ho tempo fino al tramonto, è meglio che mi prepari come si deve. Vediamo di capire di che tipo di mostro si tratta, innanzitutto” disse rilassando le spalle.

Per prima cosa Hannah esaminò il pozzo. Il secchio era appoggiato sul bordo, il meccanismo che serviva per calarlo era arrugginito e la corda legata al secchio era sfibrata; non credeva avrebbe retto il peso del secchio se fosse stato riempito. Nulla intorno al pozzo indicava che un mostro vi avesse fatto dentro la propria tana.

Aprì la bisaccia e rovistò per qualche istante, infine tirò fuori un’ampolla contenente una polverina gialla. Si avvicinò al bordo e guardò in basso, ma il sole non era ancora abbastanza alto da illuminare il fondo del pozzo. Gettò dentro la boccetta, che colpì la parete ed esplose. Una nube gialla si espanse sotto di lei. Pochi istanti dopo, vide la nube disperdersi senza cambiare colore. “Niente acqua. Non si tratta neanche di un anfibio. Probabilmente si tratta di un vampiro o di un mutaforma, ma potrebbe anche essere uno spettro. Meglio controllare la presenza di ectoplasma nel torrione.”

La donna frugò di nuovo nella bisaccia e tirò fuori una seconda ampolla, contenente un liquido verde. Coprì con calma la decina di passi che la separava dal torrione. La parte alta dell’edificio era crollata verso l’interno e l’entrata era bloccata dai detriti. Scagliò l’ampolla contro di essi ed il liquido prese fuoco appena fu a contatto con l’aria. “E questo conferma che non si tratta di uno spirito.”

Successivamente, si diresse alla sua destra verso quello che aveva identificato come l’alloggio della guarnigione. Entrata nella caserma, trovò solo uno stivale dimenticato in un angolo e una coperta stracciata abbandonata sul pavimento. Il resto dell’edificio era stato completamente sgomberato. Convinta non ci fosse altro da vedere, Hannah alzò le spalle, si girò e tornò nel cortile.


Estratto dal racconto "La fine di un lavoro ben fatto" di Giulio Rosani, dall'antologia fantasy "Hyperborea 4", Midgard Editrice 2020


midgard.it/hyperborea4_ebook.htm

midgard.it/hyperborea4.htm

www.ibs.it/hyperborea-vol-4-libro-vari/e/9788866722144

www.mondadoristore.it/Hyperborea-4-na/eai978886672214/



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