giovedì 2 luglio 2020

Una battaglia lunga tutta una vita

di Christan Efrem Iori




Tic. Tic. Tic... La freccia, la svolta a sinistra ed eccoci, davanti al grande cancello che si apre sul grande parcheggio dell’abitazione. “Finalmente a casa” pensò Chris mentre riponeva l’auto in garage. Era poco più di un anno che era andato ad abitare con la sua ragazza nella casa dei suoi nonni materni. Una tipica palazzina degli anni ‘60, avente sul retro, un orto tappezzato di olivi, forse l’unico pezzo di terreno rimasto nella zona. Il piano terra era l’appartamento della mamma, disabitato da anni, al primo abitavano i nonni, la mansarda invece era la casa in cui era andato ad abitare, sia perché molto più vicina al lavoro, sia perché lui e Moira avevano deciso di andare a convivere l’anno prima “per fare le prove generali” diceva lui, e nel brutto periodo di crisi economica in cui navigava la società, il buon cuore dei nonni aveva messo a disposizione quella casa senza chiedere nemmeno che pagassero le bollette.
“Perché non accettare e approfittare per stare vicino ai nonni?” pensarono prima di accettare, anche se avrebbero preferito fare da soli, perché si sa, quando si tratta di interessi, i parenti poi, non conoscono parentele. Ma seppur la loro priorità fosse quella di comprare casa, dovettero cambiare i loro piani perché con due stipendi, ma solo uno pieno, e due finanziamenti, non era facile di quei tempi avere prestiti per acquistarla.
Comunque era una casa elegante ed in buonissimo stato, rivestita di mattoncini rossi faccia vista nei tre piani superiori, mentre la pietra, sempre faccia vista, era stata utilizzata per il piano terra, dove fino alla fine degli anni ‘90, e per circa venti anni, i nonni di Chris avevano avuto un alimentari. La “Bottega” la chiamavano. Purtroppo poi, arrivarono proprio di fronte casa i grandi commercianti dei grandi circuiti merceologici, che ammazzavano le piccole attività, così decisero di chiudere a malincuore. Ogni volta che il periodo dell’infanzia tornava alla mente, Chris ricordava l’odore di salumi che aleggiava negli ambienti del negozio e sulle mani del nonno Walter, nonché gli sfilatinialla mortadella che la nonna preparava dietro al banco gastronomia, la radio grigia dell’epoca con una lunga antenna ed un tasto rosso, la grande bilancia e l’affettatrice, le paghette date di nascosto, ma che poi tanto nascoste non erano mai, le giornate passate dietro la cassa a giocare a fare il cassiere, il profumo da uomo alla fragranza di pino, perché all’epoca la ditta che produceva quel profumo abbinava la miniatura di un cavallino bianco, ed oltre ad essere il profumo del nonno, il cavallo lo aveva sempre affascinato. E poi come dimenticarsi della collezione di figurine dei calciatori. Figurine che rubava dai succhi di frutta insieme ai suoi fratelli, Dave e Tom entrambi più piccoli di Chris. Dave di quasi 2 anni e Tom di 3 anni e mezzo.
<Uff queste scale non finiscono mai. Sempre più lunghe> sbuffò affannato Chris raggiunta l’ultima rampa di scale.
Già salendo giocava ad indovinare cosa ci fosse per cena. Era inconfondibile l’odore del pollo arrosto con le patate che aleggiava nell’androne, e che Moira sapeva cucinare così bene. Aperta la porta quell’odore avvolgente lo investì, e gli aprì lo stomaco facendogli venire l’acquolina alla bocca.
<Ciao Amore, pollo e patate?> disse lui affrettandosi ad entrare in casa.
<Indovinato!> esclamò lei uscendo da dietro l’angolo della cucina ed avvicinandosi per accoglierlo con un bacio, con il suo solito sorriso. Era una ragazza minuta dalla corporatura snella ma mediterranea, con occhi color miele, la bocca sottile e piccolina, i capelli corvino lunghi alla schiena e la pelle olivastra, tanto che spesso la scambiavano per una bellezza asiatica, e lo stesso Chris, la prima volta che la vide, aveva creduto fosse straniera.
Chris si diresse dapprima nel ripostiglio per calzare un paio di pantofole ciniglia color beige che la mamma di lei gli aveva regalato il Natale precedente, poi andò in camera per indossare abiti più comodi, e passato per il bagno, raggiunse la ragazza che lo stava aspettando al tavolo per cenare. Insomma in quattro mosse aveva fatto il giro di casa.
Si salutarono ancora con un bacio e si sedettero. Erano abituali, lui sempre seduto alla destra di lei. Solitamente appena rientrato dal lavoro, Chris non parlava per i primi dieci minuti. Semplicemente prendeva il telecomando, impostava la sua trasmissione dell’ora di cena e iniziava a mangiare. Seppur Moira nel primo periodo di conoscenza non capisse perché facesse così, imparò ad assecondarlo, perché del resto era solo un modo per allentare le tensioni post lavoro, e prendersi qualche minuto di pausa dopo le fatiche della giornata. Quando era pronto per affrontare la conversazione, solitamente la avviava lui.
E comunque in quel piccolo appartamento, il silenzio, non stonava ma permetteva di godersi la tranquillità dell’ambiente.
Quella mansarda era piccola, accogliente, ben curata e ben arredata. I mobili li avevano scelti insieme un anno e mezzo prima, anche se Moira e le misure non andavano molto d’accordo e per questo c’erano stati dubbi sulla disposizione.
Avevano approfittato di un periodo in cui Chris doveva stare a casa per via di un incidente accorso sul lavoro, che gli aveva cagionato una frattura della caviglia. Era lo stesso periodo in cui Moira aveva trovato lavoro in un bar di un centro commerciale vicino al lavoro di Chris, motivo in più per andare a vivere insieme, considerando che Moira, vivendo con i genitori, era molto lontana da lì. Certo, non erano rose e fiori in quel posto, tanto che Chris spesso minacciava di parlare con quello zoticone del datore di lavoro.
<Se non te ne vai ci metto le mani io. Questo non è lavoro. Meglio mangiare pane e cipolla che vederti in queste condizioni, la dignità non la deve calpestare nessuno> le ripeteva.
Furono per lei mesi di sacrifici e bocconi amari, perché sottopagata e sfruttata.
“Per lo meno ho il denaro per permettermi i mobili” pensava lei. Sì, perché la loro filosofia era la condivisione di gioie e dolori, spese comprese. Fortunatamente, quell’impiego durò solo qualche mese, avendo avuto una proposta di lavoro molto più allettante da un’azienda di cosmetici e prodotti per la casa e per la persona. Ora faceva la commessa, ma quel lavoro le piaceva. Insomma, quei mobili erano nati dal sacrificio e per questo ancora più belli.

Estratto dal libro "Una battaglia lunga tutta una vita" di Christian Efrem Iori, Midgard Editrice 2020





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