giovedì 9 aprile 2020

Intanto Johnny Depp non sbaglia un film

di Mirco Gatti





Ventiquattro fotogrammi sono il numero di immagini che scorrono in un proiettore 35 mm in un secondo.
Quarantotto fotogrammi sono una striscia di pellicola (due secondi) che tengo chiusa in una scatola come ricordo di un’esperienza unica.
Fare il proiezionista è l'unica cosa che so fare e, probabilmente, meno bene di tanti altri.
Tuttora, se devo pensare a quale altro lavoro avrei potuto fare, non mi viene in mente nulla...
Avrò avuto dieci anni, quando cominciai a prendere dimestichezza con la pellicola, in una cabina di proiezione che somigliava a un paese delle meraviglie con i suoi odori stantii, di muffa e polvere.
Poco più che ventenne, mi dividevo tra il lavoro come lavapiatti e il Cinema; come proiezionista, avevo un contratto part-time, cercando di studiare il modo per pagarmi un affitto e rendermi autonomo.
Nel 1999, l'anno in cui ci fu il passaggio dalla lira all’euro, andai (sempre per arrotondare) a fare il "figurante" per l'ultimo film di Roberto Benigni: "Pinocchio".
Pagavano centomila lire al giorno, l'altra metà dei soldi me la diedero con un assegno in euro.
Chi l'avrebbe mai detto che sarei stato scelto per un primo piano?!
Al trucco, chiesi alla ragazza che si occupava delle comparse se poteva farmi un’acconciatura alla
 "Buster Keaton", la bella ragazza romana mi rispose: "E come no!".
Gran parte del film si girava nei teatri di posa di Papigno, a Terni.
Dopo aver girato alcune scene di massa, mi divertivo a curiosare qua e là per il set; conobbi un signore che stava sempre vicino alla cinepresa e mi spiegava tante cose interessanti sul tipo di luce che voleva dare al film.
In quei dieci giorni imparai tante cose da quel signore sconosciuto (Dante Spinotti).
Le pause tra una ripresa e l'altra erano interminabili, noi figuranti venivamo scaglionati e smistati.
Ogni gruppo aveva la sua mezz'ora di ripresa per poi risprofondare in ore e ore di attesa.
La memoria mi riportò a quando facevo il militare.
I ritmi erano circa gli stessi e le soddisfazioni pure; infatti, quando scattava l'ora del pranzo, vedevi le facce mogie delle comparse o dei commilitoni riprendere vigore.
Arrivava il tuo bel cestino con primo, secondo e contorno.
Finito, mi avvicinavo al catering che preparava le vettovaglie e ci serviva pure il dolce e il caffè! Fantastico!
Poi tornavamo in fila ad aspettare l'aiuto regista per ricominciare il tran tran delle riprese, quindi "motore"... "partito"... "sileeenzio"....... "AZIONE!".
Ricordo che quando mi vide Benigni, scrutò il mio volto, prima mi fissò serio per qualche secondo e poi... mi fece un sorriso del tipo: "Buongiorno principessa! - io, stordito - poi disse all'aiuto regista che andavo bene per quella scena.
Trovarsi dalla solitudine di una cabina di proiezione all'essere catapultati in un set cinematografico di quella portata è per me tuttora un ricordo talmente vago che, se ci ripenso, ancora non ci credo.
Ricordo il calore delle lampade puntate su di me, sulla mia faccia, il trucco, i ragazzi che mi facevano da "cornice"... eeee... Ciak!
La scena consisteva in un’inquadratura panoramica su un centinaio di ragazzi che si dimenavano trovandosi nel Paese dei Balocchi.
Altre comparse trainavano una torta gigante coperta di panna e fragole, lasciandola proprio in mezzo all'inquadratura, quindi arrivavo io e con il piede destro dovevo atterrare in quel pezzo di scotch giallo che uno dei tecnici aveva attaccato al linoleum; infine, dovevo fare una faccia sorpresa e compiaciuta per poi afferrare la fragola, infilarmela in bocca senza guardarla e scappare via. Sembra semplice... sembra!
Per fare quello che in fase di montaggio durerà due secondi (48 fotogrammi), ci mettemmo mezzo pomeriggio.
Dieci ciak, dieci ciak, Cristo Santo!
Vedere Benigni incazzato e sapere che lo avevi fatto incazzare tu, non era così gratificante.
Dopo il quarto ciak, mi bloccai e non ci fu modo per sbloccarmi.
Una volta ero io, una volta non era a fuoco la cinepresa, un'altra volta qualcos'altro, fatto sta che m’inceppai e più provavo a essere disinvolto, più il panico saliva; in più, nel frattempo, si era sparsa la voce che ero di Perugia.
Tra Perugia e Terni c'è sempre stata una sorta di antipatia di matrice calcistica.
Quindi, durante le riprese, alle mie spalle, mentre facevo finta di essere felice e spensierato nel Paese dei Balocchi, sentivo frasi del tipo... "stu perugino de merda!"
Il giorno dopo, durante una delle innumerevoli pause, fece capolino sul set proprio lui, Roberto Benigni.
Ancora stavo rosicando e maledicendomi per quell'occasione (forse) andata persa per la mia maledetta timidezza.
Mi sentii chiamare da dietro le scenografie del Paese dei Balocchi di Danilo Donati: "Mirrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrco!". Mi giro, era lui. Si avvicina.
Vedendomi impacciato, mi stringe la mano e mi abbraccia dicendomi: "Ieri sera ho rivisto le scene e ho scelto la n. 4. Nel film ci sarai".
Il film non ebbe il successo sperato.
Ancora oggi, conservo da qualche parte quei fotogrammi "tolti" da una delle copie del film e le figurine tridimensionali, dove mi vedo mentre tiro le freccette al Grillo Parlante (Beppe Barra).
Capii sulla mia pelle, sul tempo prezioso dei macchinisti, sulla pazienza di Benigni, che non potevo (né volevo) fare l'attore.


Estratto da "Intanto Johnny Depp non sbaglia un film", Mirco Gatti, Midgard Editrice 2012

midgard.it/intanto_johnny_depp.htm

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