sabato 21 marzo 2020

L'incontro

di Anna e Tullio Agostini




Con passo svelto attraversò il portone d’ingresso, superò l’ampio cortile e si portò alla biglietteria di Palazzo Vitelleschi salutando l’impiegata preposta alla punzonatura giornaliera dei tagliandi e ritirando dalle sue mani il pacchetto delle prenotazioni di quella mattina per la visita archeologica al Museo Nazionale Etrusco.
Vittoria non era una guida turistica vera e propria ma la sufficiente competenza artistica, la disinvoltura nelle lingue, la familiarità che aveva acquisito con la cittadina tirrenica dal mare blu e dalle tante torri, nella quale da tempo soggiornava per diversi mesi all’anno, facevano sì che venisse chiamata a collaborare con gli amici del museo ogni volta che ve ne fosse l’occasione.
L’estate era la stagione di maggiore afflusso turistico per Tarquinia e lei anche quel giorno avrebbe avuto il suo da fare con il nutrito gruppetto di persone che attendeva impaziente di entrare nelle “stanze delle meraviglie”.
Avrebbe esordito ancora una volta con i preamboli di presentazione del Palazzo informando gli astanti che la struttura  – realizzata tra il 1436 e il 1439 per volontà del Cardinale Giovanni Vitelleschi su progetto di Giovanni Dalmata  – poteva ben ritenersi un autentico capolavoro del Rinascimento. Avrebbe messo in risalto la compresenza in loco di elementi gotici e rinascimentali che testimoniavano il graduale passaggio dal vecchio al nuovo stile. Stile che a quel tempo si andava diffondendo un po’ dovunque. Si sarebbe soffermata sul bellissimo pozzo ottagonale, risalente al 1459, circondato sui due lati da un porticato con archi a sesto acuto…
Ogni volta era la stessa lezione e in realtà ogni volta non era la stessa lezione.
Cambiavano i gruppi, l’approccio, le domande e mutavano sopra tutto gli sguardi della gente che la fissava: a volte con interesse (accidenti, che grinta la guida, nonostante l’età sui cinquanta e quelle lenti spesse da miope che non le rendono giustizia); a volte con alterigia (sei pagata per accontentarci e rispondere a tutti i nostri interrogativi, non importa se i più idioti del mondo); a volte con leggerezza (quel caschetto grigio non le dona, però che fisico ancora e che energia! Ce ne fossero…).

Con un’occhiata esperta valutò la situazione che le si prospettava: una quindicina di persone provenienti dalle Terme di Saturnia e scaricate da un pulmino privato alberghiero; la classica coppietta americana in tour per i litorali laziali, in cerca di motivazioni; un prete dagli occhiali scuri, moderno ma non più di tanto; e infine due o tre visitatori occasionali sui quali la psicologa mancata che dimorava da sempre in lei avrebbe potuto riempire pagine intorno alla reale velleità di incontro di ciascuno di loro con la storia di un passato sempre più inutile e fatiscente.
Poco per volta iniziò a entrare nel meccanismo della persuasione delle parole con una voce ben impostata – frutto di anni di teatro – e dandoci dentro con quel minimo di entusiasmo che può pretendersi appunto da una guida che non è guida e che si pavoneggia in un ruolo che non le compete.
Tutti gli occhi erano puntati su di lei mentre raccontava della definitiva trasformazione del palazzo in museo nel 1924, data questa in cui il nucleo originario della raccolta comunale si arricchiva con la preziosa collezione Bruschi – Falgari, e non solo … 
Colse una certa attenzione nel momento in cui fece intendere al gruppo che l’esposizione museale era articolata su tre piani ma che prima avrebbero dovuto seguirla lungo la sala dieci del piano terra, preziosa per i segreti che custodiva: i celeberrimi sarcofagi edificati con materiale in pietra, appartenuti ad alcune delle famiglie più in vista della Tarquinia di un tempo.
Era quella – pensava e lasciava intendere – la parte più significativa della visita poiché né il celebre vaso di Bocchoris del VII-VI sec. A.C., né l’altrettanto famoso altorilievo dei Cavalli Alati, recuperato dalle rovine del tempio dell’Ara della Regina e considerata opera scultorea unica al mondo, avrebbero potuto, a suo giudizio, eguagliare la dolcezza e la sacralità dei sepolcri della famiglia Partunus tra i quali, per eccellenza, quelli di Laris e di Velthur del IV secolo.
Rispose in modo garbato ma conciso alle prime interruzioni del suo breve esposto, non riuscendo peraltro a rimuovere del tutto, pur mantenendo una impeccabile professionalità, le inquietudini personali di quella mattina: la preoccupazione per la mamma malata ed anziana, rimasta in casa senza la giovane badante; la nostalgia per i suoi tre cani lasciati per cause di forza maggiore a Cortona; Claudio, il problema per eccellenza per la soluzione del quale da cinque anni non aveva mai trovato altro che il tentativo di applicarne una rimozione totale.

(Si supera, si supera tutto – pensava –).

Era frattanto giunta al sepolcro di Velthur, emozionandosi ancora una volta come sempre le accadeva.
 “Una lunga iscrizione incisa e dipinta di rosso racconta che questo “Velthur Partunus, figlio del caro Laris e di Ramtha Cucini…” visse ben ottantadue anni, un’eternità per quei tempi, lui che aveva ricoperto l’importantissimo ruolo di zilath cechaneri, paragonabile ad un’altissima carica di magistrato. Sì, parliamo di un membro illustre della famiglia tarquiniese dei Partunu, di cui conosciamo altri membri sepolti nella stessa tomba, in altri sarcofagi. Vedete, il calcare di cui è composta la struttura evidenzia con il suo colore bianco l’autorevolezza del soggetto…”.
In quel momento si sentì tirare la borsa a tracolla che portava quasi sempre con sé e nel girarsi di scatto, paventando uno scippo o qualcosa del genere, ebbe la sorpresa di trovarsi davanti un indefinibile signore di mezza età parzialmente occultato da un berretto con visiera da cui sbucava un volto arguto e ammiccante che la riportava stranamente a un deja vu e a scenari trascorsi, quasi fosse  – quel volto  – un fotogramma sfocato che lentamente prendeva consistenza e si trasformava in qualcosa di sempre più nitido e accessibile ai ricordi.

Estratto dal romanzo "L'incontro" di Anna e Tullio Agostini, Midgard Editrice 2020

midgard.it/incontro.htm





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