venerdì 13 novembre 2020

Isabel. Meraviglia e dramma

 di Paola Micoli e Corrado Solari.





Da ragazza mi ero coricata, più o meno come farfalla, (ma le farfalle non si coricano, posano) pensai. Così posai io, fra il tenero cespugliame, a foglia larga, del mio bosco, ad aprirmi l’anima, da dove si entra, per viaggiare e cercare nei paesaggi interiori color pastello, a me tanto familiari, le persone che mi avrebbero chiarito disarmonie sentimentali o incomprensioni lasciate in sospeso. Che bel pensare. Quel giorno ero sull’albero dell’altalena, “mastro albero”, che sapeva così bene come cullarmi, mentre nel cuore mi dondolava una domanda: “Perché ho sempre aiutato a viaggiare gli altri e non l’ho mai fatto per me?”

Pencolando avanti e indietro mi ricordavo le parole di mamma che severamente accorata mi avvertiva: “Isabel, non andare oltre mi raccomando! Il tuo posto è qui e il posto “loro” è là!

Non devi disturbare le anime in travaglio! Se tu lo fai per il solo scopo di alleviare la fatica, i torti o le amarezze di persone che conosci, in modo di acquietarne i tormenti per il resto della vita, è una cosa benevola e la puoi fare. Ma astieniti dal portarci qualcuno tanto per portarlo e nemmeno tu dovrai passare di là se non per motivi veramente importanti!”

Mi guardavo i piedi, che dondolavano, fra tante riflessioni, volti accennati, sentimenti, fantasie...

Quanto riflettevo sulle cose che non c’erano più e sui nuovi modi di bisticciare o non bisticciare, sul dire o meno a mamma, anzi di non dirle più; piuttosto a Eveline... o forse a mamma... o forse meglio Eveline... uffa che fatica decidere! Mi ciondolavo avanti e indietro, ero smarrita, mentre il corpo oscillava in avanti, l’anima andava indietro. E non si incontravano mai... c’era il rischio di non rientrare più o di trovarsi dissociati come se l’anima prima rincorresse e poi sfuggisse il corpo: “Ehilà dove corri, fermati, devo rientrare! Non sono ancora morta!” Mi ripresi subito da questa grulla immaginazione e tornai a riflettere se “addentrarmi” o meno “nel di là”.

Chiusi gli occhi: “Cosa potrebbe succedermi se io ora volessi andare oltre, così, solo per curiosità? È cosa ben fatta, giudiziosa, avventata... destinata?” Mi domandai.

Eveline... magari ci fosse ancora fra noi, avrei potuto chiedere a lei cosa ne pensasse, lei che aveva una risposta a tutto. Se adesso lo rivelassi a mamma che desidererei andare oltre mi sgriderebbe di santa ragione?

Don, don... e poi don, don... don-do-la-vo sull’altalena a macerarmi dubbiosa.

Cosa faccio? Vado non vado, mi stavo agitando. Dio mio, era come se una vocina dentro mi stesse chiamando: “Prenditi coraggio, vieni, vieni!”

Cosa era quella voce di vento o di bimba, dolce bimba, che sentivo in me? Non saprei dire da dove sentivo chiamarmi, dalla mente, dal cuore o dallo stomaco. Mi dondolavo sempre più lentamente fino a fissarmi in un torpore ipnotico, curioso, presa com’ero dal diavoletto dell’incanto. E precipitavo nel pensiero del viso di una donna dalla pelle candida, di pallor celeste, con gli occhi invasi di sorridenti lacrime, discrete ma gonfie.

“Quante volte ho sognato quel viso! Ma ora basta” mi dissi. Balzai dall’altalena, che continuava a roteare sbilenca, e mi piantai a terra. Con un silenzioso fervore gridai dentro di me: “Voglio scoprire quello che ancora non so! Non so il perché ma ora devo decidermi e correre a scoprirlo.”

Ero tutta protesa, con tutti i miei pochi anni, con tutti i miei pensieri, tutta intera. Ero quella che sogna, lo volevo fare con tutta me stessa.

Mi precipitai saltellando da un sasso all’altro sull’acqua, fino a salire i pioli della mia casetta sul fiume. Entrai, presi fiato, anzi lo feci scorrere fino a quietarsi. Mi sdraiai come sapevo fare, con la testa leggermente ripiegata all’indietro. Stesi teneramente le mani sul pavimento di legno, chiusi gli occhi e portai la mia mano destra sul mio petto, dove mi concentravo sul respiro e sul cuore.

Ad occhi chiusi respiravo profondamente, piano piano, sempre più flebile, quasi apnea, fino quando il respiro, andava a dissolversi, mentre mi vedevo salire. “Vi è mai successo di staccarvi e di guardarvi dall’alto?”

La mia anima si sollevava in una atmosfera ovattata, quasi rosa e luminosa, in qualcosa che preludeva lo svelarsi di cose segrete. Il corpo invece rimaneva lì, come abbandonato sul pavimento della mia casina.

Fluttuai lentamente giù ai piedi dell’albero, e poi al torrente, il mio Carezza, luogo da dove il sogno, l’intento, mi trascinava come sempre, come per tutti coloro che portavo con me verso il viaggio, che ora, almeno per una volta, lo dedicavo a me, irrefrenabile e acceso.

Osservavo i miei piedi, che volavano lenti, aerei, controcorrente alle acque del fiume, fino a giungere a quella grande fenditura, una delle magiche fenditure: ingressi misteriosi fra il mondo fisico e il di là, nell’albero magico, nelle radici o nella roccia incorniciata di muschio, accogliente, dolce guardiana dei miei “ingressi” verso il trasparente, il nulla, l’oltre. Albero protettore, entità sempre auspicante di buone cose.

“Coraggio Isabel, ora tocca a te!” mi dissi.

Entrai cauta e guardinga. Quanta luce!

Dopo essere barcollata più volte, mi trovai alla spiaggetta, che a vederla era fatta di morbida sabbia e a camminarci sopra si faceva d’erba. Era qui che facevo incontrare tutti con i loro amati. Ma ora non c’era nessuno per me. Vi ero giunta che non volavo più ma camminavo, senza lasciare orme sulla sabbia. Da lontano vidi un essere che emanava dei colori, stava di spalle, vestiva una mantella chiara da monaco cappuccino.

Mi avvicinai e trovai la forza di toccare lievemente la sua schiena, ma le dita non sentirono nulla poiché il corpo era fatto di luce. Lo attraversavo!

Nello stesso istante l’essere si voltò: era Eveline!


Estratto dal romanzo "Isabel. Meraviglia e dramma" di Paola Micoli e Corrado Solari, Midgard Editrice 2020.


http://midgard.it/isabel.htm

2 commenti:

  1. L'ho letto, Paola. E credo proprio che lo leggerò tutto. Sei una sognatrice, e come tale un pò ti capisco. Bisogna staccarsi da tutto quello che è materiale e farsi trasportare con leggerezza dalla mente. Occorre fidarsi della propria anima.

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    1. Un libro con sentimenti profondi che parla di vera realtà sulla vita.

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