sabato 13 aprile 2019

Sywyn Yana: il demone di Kalisha

di Davide Zaffaina





Il tempo scorreva lento e noioso, scandito inesorabilmente da un fastidioso ticchettio di orologio a pendolo posto nella guardiola in fondo al corridoio che si allungava dietro l’angolo della cella. L’impossibilità di conoscere l’orario innervosiva molto l’elfo che non poteva nemmeno basarsi sulla posizione del sole che a sua insaputa splendeva sopra la cella incastonata nella montagna.

Gli altri due, un mezzorco di nome Kramer e Bodnik l’halfling, si sistemarono sulle loro brande mentre Sywyn rimase in piedi ad osservarli, quasi a scrutarli segretamente senza farsi vedere.

L’uno indossava pantaloni e maglia nera, di un tessuto spesso ed attillato. L’altro, infinitamente più grosso ed alto, portava un paio di pantaloni verde scuro ed una casacca marrone la cui stoffa, grezza e ruvida, era tappezzata in più parti di pelliccia d’orso.

Il più piccolo dei due era un halfling di corporatura esile e non più alto di un metro e trenta. La sua faccia rotonda era contornata da un folto pizzetto che, sopra il labbro superiore, si univa ai corti baffi. I cinerei capelli ricci, portati a caschetto, terminavano con due lunghe e sottili basette. I lineamenti rivelavano una natura allegra e giocosa che contrastava però con lo sguardo duro, penetrante e cinico tipico di un animale domato e costretto in gabbia. I suoi grigi occhi opachi, spenti di una luce morente che non lasciava spazio alla speranza, gridavano una vita non certo facile… Ma non tutto era arido deserto nell’animo di costui: un bagliore furbo, intelligente e curioso lo attraversava tutto manifestandosi in fondo al suo sguardo come un piccolo lumino nella notte.

Un particolare attirò Sywyn: l’halfling giocherellava continuamente con tre monete di legno facendosele passare da un dito all’altro e dalla mano sinistra a quella destra come farebbe un giocoliere.

L’altro detenuto era un mezzorco: tra elfi e mezzorchi non correvano certo buoni rapporti, anzi, ma se c’era una cosa che a Sywyn sembrava ingiusta e stupida quella erano i pregiudizi; lui non giudicava a priori così come non voleva che gli altri lo giudicassero senza conoscerlo.

La sua pelle verdastra, coriacea, ed i lunghi canini inferiori che come piccole zanne uscivano dal labbro non gli donavano certo un aspetto gioviale. La sua mole, poi, era davvero imponente: l’altezza superava i due metri, il torace era ampio e muscoloso, le braccia forti e vigorose ed infine le gambe, asciutte ma possenti come pilastri di pietra, facevano pensare ad una persona abituata allo sforzo fisico, alle lunghe marce ed ai lavori più pesanti.

I lineamenti erano squadrati, il volto villoso ed il naso schiacciato. Sotto le folte sopracciglia nere si schiudevano occhi di un intenso verde acqua, immobili come persi nel vuoto o nell’immensità di un pensiero fuggevole. Un che di fiero ed orgoglioso lo avviluppava tutto: ciò che in quella figura imponente ma non spaventosa, aveva colpito Sywyn alla prima occhiata erano la fierezza e la dignità lampanti anche se coperte da indumenti ridotti a brandelli.

Cercando di mettere la testa fuori dalle sbarre, l’elfo riuscì a contare undici celle in ognuna delle quali stavano gruppi di tre o quattro prigionieri. Tra i detenuti delle varie celle non c’era possibilità di comunicazione poiché, ad ogni accenno di frase che non fosse un sussurro, i secondini menavano violente randellate sulle sbarre producendo un martellamento assordante accentuato dal rimbombo che si spargeva terrificante per tutto il corridoio. Al secondo tentativo di comunicazione, le randellate si abbattevano sorde sui prigionieri fratturandone le dita intorpidite e spaccandone i denti lasciando lo sventurato di turno inerte e rantolante al suolo come un vecchio cane che stia per tirare le cuoia.

I lamenti di dolore causati da queste ed ancor più truci pratiche sortivano l’effetto di inibire gli altri carcerati a creare nuovi fastidi.




L’idea della fuga aveva iniziato a formarsi nella mente di Sywyn poiché, seppure dovevano essere trascorsi non più di un paio di mesi, non ce la faceva più a rimanere in gabbia, sottomesso ed annientato. Se i suoi due compagni erano ciò che sospettava gli sarebbero stati di grande aiuto nell’impresa.

Nel tombale silenzio della cella la mente dell’elfo già stava macchinando i piani di fuga quando l’halfling attirò la sua attenzione.

<<Le esecuzioni sono iniziate. Non si fermeranno finché non ci avranno uccisi tutti! Dite le vostre ultime preghiere e se qualche femmina vi aspetta a casa ricordatela nelle ultime ore.>>

Sywyn, serio e risoluto, con un filo di voce intimò ai due di avvicinarglisi.<<Non sapete nulla sul mio conto, del resto anch’io ignoro chi siate ma la difficile situazione richiede delle decisioni che non possiamo rimandare. Insieme potremmo elaborare un piano di fuga; io ho già parecchie idee ma mi serve il vostro aiuto, le vostre conoscenze della prigione e la vostra abilità.>>

Sywyn tacque per un po' valutando le reazioni degli altri due.

L’halfling si accarezzò il nero pizzetto con aria pensierosa.

<<Nessuno è mai riuscito ad evadere. D’altronde>> continuò <<se non agiamo in fretta la nostra sorte è segnata. Tu che ne pensi Kramer?>>

Il massiccio mezzorco si alzò dalla branda sulla quale era seduto.

<<L’impresa è senza dubbio disperata, le probabilità di uscirne vivi nulle. D’altro canto io sono un guerriero e non aspetterò di certo la morte senza combattere. Se devo morire morirò con onore nel mezzo della battaglia.>>

<<Avrai di certo bisogno anche di un abile ladro, giovane elfo. Del resto morire tentando di portare all’inferno qualche guardia è di certo preferibile che morire per un’esecuzione>> disse a bassa voce l’halfling, visibilmente eccitato al pensiero di una simile folle impresa.

<<Allora è deciso>> concluse Sywyn. 


Estratto da "Sywyn Yana: il demone di Kalisha" di Davide Zaffaina, in AA.VV., "Hyperborea", Midgard Editrice 2017



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